Afterhours: Padania

Padania non come espressione geografica, ma intesa come stato interiore: un racconto dei nostri giorni di chi riesce a realizzare tutto nella propria vita, tranne se stesso. Un controverso album dove gli Afterhours elogiano la sperimentazione emozionale

Afterhours

Padania

(CD, Germi/Artist First, 2012)

indie

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Afterhours- PadaniaNon è facile spendere due parole su un disco controverso come Padania, il nuovo album degli Afterhours dal titolo scomodo, provocatorio e mai così attuale voluto proprio per definire “quello che non c’è”, ovvero il mondo che ci costruiamo nella nostra esistenza e che gli altri faticano a riconoscere. E’ la storia di una persona che raggiunge tutti i suoi sogni nella vita, tranne la cosa più importante: realizzare se stesso.

Il disco distribuito da Artist First è autoprodotto come etichetta personale che porta il nome del primo album in italiano degli Afterhours, e sono riusciti a comporre le canzoni liberi da ogni condizionamento, persino dagli stessi membri del gruppo, lavorando separatamente senza gli altri attorno, amalgamando il tutto prima con curiosità e raffinando gli arrangiamenti nei pezzi. Manuel ha poi trattato i testi per enfatizzare il concept.

Un risultato d’istinto che raccoglie un disco assolutamente diverso dai lavori precedenti. Se qualcuno si è sentito disturbato dalle sonorità convulse di Pochi Istanti Nella Lavatrice nell’album dei Milanesi, qui troverà un martellamento roboante in diverse tracce. Volendo azzardare un paragone, Padania è per gli Afterhours un cambiamento radicale quanto lo è stato Wow per i Verdena.

Un Agnelli solista alla Demetrio Stratos apre Metamorfosi, canzone spettrale da far accapponare la pelle, ariosa nel finale. Terra di Nessuno è una delle canzoni che mi hanno colpito di più, con una fortissima post produzione che rende il brano spaziale e vede un controcanto non proprio esaltante di Roberto Dell’Era.

Si passa a La Tempesta è in arrivo che circola già da un mesetto, colonna sonora del film TV “Faccia d’Angelo” dello straordinario Elio Germano che racconta la Mala del Brenta degli anni 80. Proprio il personaggio di Felice Maniero è indicato dallo stesso Agnelli come un possibile protagonista di Padania, un ragazzo che smette di lavorare la terra e rincorre le Ferrari, i soldi e le belle donne con in mano la pistola credendosi un padrone realizzato. “Quel che credevi raccolto arriva un vento a strapparlo. Non puoi più decidere come sarai”. Salvo le canzoni acustiche, è l’unico pezzo tirato che ricorda gli Afterhours di ieri.

Costruire per Distruggere è introdotta in primo piano dal violino piangente di Rodrigo D’Erasmo ed è essenzialmente un pezzo di chitarra acustica e la batteria di Giorgio Prette a tempo cadenzato “in un mondo già invecchiato dove siamo pubblico che spia un incidente”.

Fosforo e Blu e Giù Nei Tuoi Occhi sono i due episodi sperimentali del disco che personalmente ho meno apprezzato, caotici, confusi, dai testi ermetici. La title track Padania mi fa scivolare qualche lacrima: l’accendino che non funziona, il gemito di una bimba (quella del Cicca) e la chitarra che esplora la distesa nebbiosa di un campo di neve fradicia tra due ciminiere. “Ha ancora senso battersi contro un demone quando la dittatura è dentro di te?”.

E arriviamo al brano più creativo del disco, Ci Sarà Una Bella Luce, aperta da un’accozzaglia di suoni e la voce altera di Manuel che creano disarmonia. Sembra quasi venire fuori da un disco dei Mars Volta e poi all’improvviso sfuma tutto in un delicato fingerpicking emozionante di eccellente tecnica. Complimenti. “Ci saranno giorni scuri, un inferno a cui tornare, sai che cazzo me ne frega”. E poi di nuovo a smadonnare con tutti gli strumenti.

A staccare troviamo due Messaggi Promozionali musicati allegramente, il primo poteva venire su una bella canzone, il secondo fa ironia alle aziende a proposito dello spazio dei CD a disposizione per la propria attività, che riprende il riff di Terra di Nessuno. L’ira di Xabier Iriondo (bentornato ufficialmente su disco) e Giorgio Ciccarelli si fa strada in Spreca Una Vita con un assolo acido e un Manuel che urla marziale. Un po’ di tranquillità ancora con la chitarra nella liturgica Nostro Anche Se Ci Fa Male e coretto finale.

Voce bassa e grave in Io So Chi Sono, pezzo disturbante su “L’inferno è vivere da vero re senz’essere stati mai sé stessi” con le chitarre asprigne, il basso monocorde, il sax di Domenico Mamone e i bimbi del Cicca in sottofondo a fare il tifo da stadio. D’Erasmo prepara il gran finale con un violino d’atmosfera in Iceberg e poi andiamo a concludere con un’orchestrale La Terra Promessa Si Scioglie Di Colpo.

Riassumendo, si tratta di un disco che personalmente non mi soddisfa in pieno (per intenderci, buone le prime quattro, le due acustiche, Luce e il finale), che necessita di svariati ascolti, che dividerà i fans, che allontanerà ancora di più gli ascoltatori che già non apprezzano questa band, che troverà chi grida al capolavoro e chi alla grande cagata. C’è chi deve però considerare anche che questi padri di famiglia sono andati a Sanremo nel 2009 ma non si sono affatto venduti. Al contrario di altri che si addolciscono e pure parecchio per far cassa, i milanesi hanno avuto il coraggio di osare e di pubblicare qualcosa che in Italia pochissimi sanno fare. Mettersi in gioco e sperimentare.

Padania, degli Afterhours, è disponibile anche in versione deluxe

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Luca Paisiello
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