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Chris Eckman: recensione di The Land We Knew The Best

Chris Eckman è riuscito a ricamare un immaginario sonoro decisamente affascinante ed evocativo, addentrandosi nei luoghi oscuri del vivere attraverso la spiritualità del goth-folk nordamericano.

Chris Eckman

The Land We Knew The Best

(Glitterhouse Records)

folk acustico, dark folk, dream country, folk americano, soundtrack, folk nordeuropeo, murder ballad, ballad balcanica

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Con oltre quarant’anni di carriera alle spalle e numerose collaborazioni eccellenti, tra cui Hugo Race, Chris Brokaw, Steve Wynn, Townes Van Zandt, l’ex leader dei Walkabouts Chris Eckman torna in scena a quattro anni di distanza dal precedente Where The Spirit Rests con il suo nuovo album solista intitolato The Land We Knew The Best, edito per Glitterhouse Records.

Il disco è stato registrato nella casa di Eckman a Lubjana, in Slovenia, location che il cantautore originario di Seattle, ormai da diverse stagioni, ha trasformato nel suo laboratorio artigianale, nella sua factory artistica. La sensazione immediata è quella di un Eckman solitario, intimo, raccolto, in simbiosi con il suo nuovo territorio adottivo fatto di pianure sconfinate, foreste imponenti, paludi misteriose e suggestive cime montuose. Lontano dalle invasioni barbariche del turismo low cost.

Un isolamento spirituale e simbolico, oltre che geografico, che si compie lungo i sentieri di una desolazione emotiva, nel suo lento incedere dove tutto rimane ampio, spoglio e sospeso, a conferire una malinconica magia di fondo all’andatura e al mood di ciascuna traccia.

“C’è sicuramente un senso di perdita nell’album”, come ha dichiarato lo stesso Eckman, “ma c’è anche il tentativo di riprendere il controllo della propria vita. Volevo quello specifico senso del luogo in queste canzoni. Trovo molto conforto e ispirazione nella natura qui”.

Insieme a collaboratori fidati come Alastair McNeil alla chitarra, Ziga Golob al contrabbasso, Blaz Celarek alla batteria e Catherine Graindorge all’arrangiamento archi, e avvalendosi del contributo di alcuni artisti della scena folk locale quali Ana Kravanja, Chris Eckman è riuscito a ricamare un immaginario sonoro decisamente affascinante, addentrandosi nei luoghi oscuri del vivere attraverso otto tracce dalle atmosfere evocative e dai colori crepuscolari, centellinando ogni stato d’animo con delicatezza e febbricitante sobrietà, a testimonianza della sua evoluzione come musicista e narratore.

Canzoni che abbracciano l’onirico e il rurale, l’introspettivo e il cinematico, il dolore e la speranza, nutrendosi di quella naturale alchimia che c’è tra la spiritualità terrigna del folk nordamericano e il dark-side pinkfloydiano di blues ballad dal respiro etno-folk balcanico. A fare da collante epidermico, il timbro vocale di Chris Eckman, con la sua languida e plumbea profondità: un misto di Leonard Cohen, Tom Waits e Mark Lanegan.

Così, The Land We Knew The Best scivola via nel minimalismo di carezzevoli pennellate ritmiche – tra tessiture di pedal steel e folate d’archi e pianoforte – e nella densità melodica di un sound acustico dal tratto levigato e toccante. Un lavoro corale e senza tempo, da cui affiorano l’agitazione interiore e la bellezza tanto scarna quanto inebriante di meste ballate alla Kris Kristofferson e Calexico.

The Land We Knew The Best è dunque un’esperienza immersiva in grado di scaldare il lato più intimo e oscuro delle emozioni, ma rappresenta soprattutto la necessità da parte di Chris Eckman di imparare a lasciare andare le cose, per ritrovare armonia con la fragilità dei propri sentimenti.

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