Walnut Tree: recensione di Lie

Esordio sulla lunga distanza per i Walnut Tree: con Lie tengono vivo il verbo delle chitarre come si suonavano 20 anni fa, quando l'alternative rock andava a braccetto col metal. Il tutto con un piglio squisitamente internazionale.

Walnut Tree

Lie

(Overdub Recordings)

alternative, metal

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Con Lie, l’esordio dei Walnut Tree, sembra quasi di essere ritornati indietro nel tempo, quando il nu-metal dominava le classifiche di mezzo pianeta. In realtà siamo nel 2024 e c’è da dire che chi ritiene che i generi o i fenomeni musicali vadano incastonati nel loro giusto periodo storico, dice una grandissima bugia. Se uno sa scrivere canzoni, anche se suonano datate, deve essere apprezzato, perché questa è una virtù che non tutti possono portare in dote. Il caso della band italiana è emblematico.

Il loro sound, potentissimo e prodotto in maniera ineccepibile, ricorda tantissimo quello dei Guano Apes, grazie anche alla voce di tutto rispetto di Sara Maiorano che pare essere la sorella minore di Sandra Nasic.

In realtà, a parte questa somiglianza molto marcata, sono le canzoni a parlare e in alcuni casi la band sfocia piacevolmente anche in omaggi ai Korn di ultima generazione.

Le melodie, ad ogni modo, rimangono impresse nella testa e questo rende il disco gradevole e canticchiabile.

A volte i nostri ripercorrono anche la strada dei Lacuna Coil, maestri e portabandiera del new metal in Italia, attuando un doppio cantato in cui la voce della Maiorano trova un ottimo appoggio in quella del chitarrista Michele Meoli (In My World).

C’è anche una base radio-oriented in certe aperture chitarristiche (Crucify My Wings), anche se poi il tutto si trasforma con il cantato in growl che incattivisce la struttura di una canzone, comunque, valida.

In Feels It My Veins i riff chitarristici sono taglienti come lame incandescenti e la Maiorano canta da paura, toccando vette altissime che non sappiamo quante sue colleghe riuscirebbero ad emulare.

Un momento di stasi lo si trova nel lento Lie, anche se si tratta di una pausa momentanea, visto che all’interno della stessa canzone c’è una bella parte tosta e pungente.

Il finale si mantiene di tutto rispetto, grazie ad un paio di tracce al fulmicotone come Ordinary Mistakes (ancora i Korn all’orizzonte) e Blackout che fanno capire come il quartetto italiano sia davvero validissimo e chiaramente esportabile al di fuori dei confini patri.

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Francesco Brunale
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