The Vaccines
Back In Love City
(Super Easy/AWAL, 2021)
indie rock
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Back In Love City è il titolo del quinto album dei londinesi The Vaccines, che si ripresentano con un disco di 13 canzoni tra ballate post-punk armoniose e trascinanti e brezze sonore di stampo garage, con molto ma molto riguardo verso il mercato pop, tornando insieme dopo la parentesi di Halloweens – Morning Kiss at the Acropolis, il progetto parallelo realizzato dal singer e chitarrista Justin Young e Timothy Lanham, il tastierista entrato nella band 4 anni fa.
Justin Young definisce questo album un concept ambientato a Love City, una specie di Sin City prosciugata dai sentimenti in cui si connettono delle storie tra loro, dove basta inserire le cuffie (Headphones Baby) ed immergersi nel proprio mondo virtuale camminando illuminati dalle luci al neon delle insegne cittadine, vivendo delle scapestrate relazioni digitali (Paranormal Romance, dove i rimandi a Morricone sono palesi).
“Cosa ti aspetti dai Vaccines?”, intitolava il primo loro album nel 2011. Dieci anni dopo dobbiamo asserire che loro sono passati dagli esordi garage-punk con sfumature darkwave, tanto da essere definiti i nuovi Libertines e antagonisti degli Strokes, a un indie pop con influenze surf-punk, abbracciando l’elettronica, mantenendo comunque la loro indole punk.
E lo avverti quando in El Paso, brano acustico in fingerpicking arrangiato con innesti di dreaming elettronico, dove lì vicino hanno registrato il disco, o in XCT ammazzano il loro rumoroso retaggio, avvolgendo i brani da soft music pur facendo poi esplodere i brani con cori e schitarrate contenute dai campionamenti preponderanti. Heart Land è un manifesto che esalta la cultura pop americana sebbene strida verso una nazione perennemente incazzata come abbiamo notato in questi ultimi anni di razzismi, disagi, duri confronti, contraddizioni.
In questo concept ambientato a Love City, un’immaginaria Repubblica del Desiderio, i The Vaccines altalenano ancora una volta le aspettative che sembravano un po’ rialzarsi con il precedente Combat Sports. Sono 13 brani solari, orecchiabili, generosi, anche un po’ invadenti e non si può dire che sia un disco che non possa non piacere. Però forse ci si aspettava qualcosa di più insolente, ruvido, ruspante che si ritrova magari in brani come Wanderlust, Jump Off The Pop, Peoples Republic of Desire se solo fossero suonati solo con una chitarra elettrica e basta. E dispiace che siano andati verso una direzione meno rock da quanto ci si immaginava una decade fa, anche se poi, dal vivo, come si nota dal video, i brani si prestano benissimo a questa dimensione.
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