Anathema
Distant Satellites
(Kscope)
progressive
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Distant Satellites è il nuovo disco degli Anathema, band di Liverpool che festeggerà presto i 25 anni di carriera. A due anni da Weather Systems (occasione in cui avevamo intervistato la band) viene pubblicato il decimo disco in studio, che a loro detta riassume il proprio percorso artistico passato dagli esordi cupi e gothic all’approccio alternative rock di metà carriera fino alle sonorità soffuse, morbide, intense ed emozionali degli ultimi lavori. La struttura dei dieci componimenti di questo lavoro non è certo classica, ma con un easy listening diretto e decisamente personale mantenendo un impatto emozionale di rilievo.
The Lost Song si avvia in due parti come nel precedente album: nella prima più ritmata il cantato di Vincent Cavanagh è introdotto da una batteria nervosa, nella seconda il pianoforte e la voce femminile di Lee Douglas guidano la scena, entrambi i pezzi hanno una forte armonia evocativa ed un finale in crescendo abbondantemente apprezzabile. Dusk viene introdotta da un arpeggio di chitarra acustica che intraprende una cadenzata ballata a due voci. Nella maggioranza dei componimenti troviamo un avvio abbastanza morbido ma generalmente poi ci si inalbera con code orchestrali trascinanti.
The Lost Song si ripresenta a metà disco con una terza parte in cui le chitarre, sempre in secondo piano nel corso del disco, appaiono distorte e dure senza eccessi, contrastando le sonorità lievi delle precedenti tracce. La chitarra esce fuori in alcuni brani come in Anathema quando ci troviamo di fronte ad un bell’assolo, ma finisce lì. In You’re Not Alone assistiamo ad una melodia elettronica ridondante, che da qui in poi la farà da padrone sui successivi pezzi. La filiforme strumentale Fireflight fa da aprirpista a Distant Satellites, il pezzo più lungo dell’album composto da otto minuti in cui si sovrappongono pattern elettronici. A mio parere forse un po’ troppo superflui perché non abbiamo cambi di tempo che giustifichino tutta questa prolissità musicale che risulta essere la parte meno incisiva ed interessante.
Le melodie vocali che impregnano il disco sono senz’altro buone, gli arrangiamenti eccellenti, l’amarezza sta nella seconda parte sommersa dall’elettronica che mi auguro non annunci una prossima evoluzione stilistica, o quantomeno non ci si faccia assorbire troppo. Un passo indietro rispetto ai due precedenti lavori, l’ottimo Weather System e We Are Here Because We Are Here. La copertina del fotografo coreano Sang Jun Too cattura un cielo rosso e una luce brillante mentre una morbida Take Shelter va a concludere quest’oretta di sound disteso ed introspettivo degli Anathema.
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