Seefeel: Seefeel

Seefeel e ricerca sonora sembrano essere sinonimi, e infatti anche in quest’omonimo album gli inglesi continuano sulla loro strada, nel solco tracciato, dai primi anni ’90, fra pop-rock, shoegaze, elettronica e accenni trip-hop

Seefeel
S/T

(CD-Warp)
ambient, post-rock, experimental, noise, electronic, shoegaze

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seefeel-recensione-cd-2011Seefeel e ricerca sonora sembrano essere sinonimi, e infatti anche in quest’omonimo album gli inglesi continuano sulla loro strada, nel solco tracciato, dai primi anni ’90, fra pop-rock shoegaze (My Bloody Valentine), techno sperimentale ed elettronica (Aphex Twin) e accenni trip-hop (Portishead). Nella loro storia il livello di ricerca è andato crescendo negli anni, contemporaneamente ai progetti paralleli delle menti storiche del gruppo (il chitarrista Mark Clifford e il batterista Justin Fletcher) ovvero Aurobindo, Disjecta, Scala, Woodenspoon.

Dopo una pausa discografica significativamente lunga, il nome del gruppo riappare in occasione del festeggiamento del ventennale della loro etichetta, la Warp, con una line-up comprendente la cantante Sarah Peacock, il chitarrista Mark Clifford, il bassista e dj Shigeru Ishihara e il batterista Iida Kazuhisa, responsabili anche del nuovo album ora in oggetto.

Lo scheletro sonoro utilizzato dal gruppo prevede un ruolo prominente per i beat ritmici, creati da batterie tradizionali, drum-machine e suoni digitali, che sottende una visione molto aperta del concetto stesso di dinamica e ritmo, ai quali si accompagnano brevi riff di chitarra in loop, spesso molto trattati (Dead guitars è chiara a riguardo). Gli interventi vocali sono centellinati e ridotti al minimo, come se la musica fosse un paesaggio semi-desertico, quasi una moderna riproposizione in musica della Waste Land di T.S.Eliot.

Gli ascoltatori più accorti avranno modo di notare le similarità concettuali fra questo lavoro e Third dei Portishead  (2009), nella comune energia statica che li avviluppa, rendendo l’ambiente sonoro abrasivo, contaminato e a tratti ossessivo. Anche quando la band propone strutture più tradizionali legate alla forma-canzone (Step Up) il feeling e l’atmosfera non cambiano, ma diventano semmai solo più diretti ed estroversi.

Un disco non adatto a tutti, forse, ma che troverà riscontro in coloro i quali cercano nella musica un progetto concettuale da esplorare, più che una raccolta di canzoni.

A ben quindici anni di distanza dall’ultimo full-length, Succour, un valido e gradito ritorno.

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