Foo Fighters: recensione di But Here We Are

10 canzoni nate dall’elaborazione del lutto per il batterista Taylor Hawkins e per la madre di Dave Grohl, a cui dedica una canzone lunghissima come mai hanno fatto i Foo Fighters.

Foo Fighters

But Here We Are

(Roswell RCA)

alternative rock

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But Here We Are, l’undicesimo lavoro in studio per i Foo Fighters, viene pubblicato dopo la scomparsa del batterista Taylor Hawkins, avvenuta mentre la band era in tour l’anno scorso nella capitale della Colombia. Lo sviluppo di questo disco si era arenato anche per la morte della madre di Dave Grohl qualche mese dopo ed elaborare il lutto ha richiesto del tempo e altre canzoni per affrontare delle riflessioni profonde sul tema.

L’apertura roboante di Rescue Me è di chi è in cerca di un salvagente nel mare delle emozioni e delle incertezze. A volte abbiamo solo bisogno che qualcuno ci venga a salvare perché la voglia di ricominciare, andare avanti, ce l’abbiamo eccome, ma serve anche un supporto. Il brano è denso di rabbia e viene picchiato e gridato come nei grandi successi rock dei Foo. Under You racconta di una perdita ma spinge sull’acceleratore, più solare, sembra di essere tornati alla leggerezza rumorosa del primo full lenght e di The Colour and the Shape.

Se in Beyond c’è la consapevolezza che “Tutto ciò che amiamo deve invecchiare”, in Hearing Voices, dotata di una certa malinconia senza risultare per forza una canzone triste, le vocine interiori ci pongono delle domande “che forse era meglio non farsi mai” e ci fanno rammaricare della lontananza di certe persone. In The Glass, brano dalle atmosfere meno rock dei ultimi loro lavori, non convince granché, peccando di riempitivo, ma racchiude il concept di questo album, quello di rimanere semplicemente in attesa che la tempesta passi.

È indubbio che i richiami ai Nirvana siano anche qui presenti in tracce come Under You e il ritornello di Nothing at All, mentre il dream-pop di Show Me How viene cantato da Dave in duetto con la figlia Violet, esecuzione dolcissima e diligente. Diversi brani sono stati scritti prima delle dipartite sopra citate, e nella decina di canzoni troviamo liriche decisamente drammatiche come The Teacher, dedicata alla madre di Grohl, lungo ben 10 minuti, in cui i Foo alternano sfuriate soniche e momenti placidi quasi provando un esperimento prog, o la conclusiva e bellissima Rest, ovviamente pensata per Hawkins, che parte in acustico in un crescendo sonoro e un finale che non può non emozionare.

Un disco che probabilmente era nato nel 2021 con altre intenzioni ma che per forza di cose è stato necessario un ripensamento, dove alla batteria questa volta si è messo a suonare lo stesso Grohl, cosa che non faceva dal 2005, come per ribadire che quelle pelli non le doveva percuotere nessun altro dopo la morte di Hawkins. Un addio, un lasciarsi cullare dalla tristezza, ma anche un invito ad andare avanti per onorare chi ci ha insegnato qualcosa. Lo dobbiamo per la loro memoria.

Guarda il video: Foo Fighters – Rescued

 

Sito web: foofighters.com

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Luca Paisiello
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