Duran Duran: recensione di Future Past

I Duran Duran mandano alle stampe il loro quindicesimo album intitolato Future Past: un revival work autocelebrativo, elegante, dal forte impatto emotivo e dal retrogusto amarcord, che lascerà soddisfatti sia i fan di vecchia data che il pubblico contemporaneo.

Duran Duran

Future Past

(BMG)

synth wave, new romantic, hi-nrg, disco funk, world music

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Duran Duran- recensione di Future PastA distanza di sei anni dal precedente Paper Gods, i Duran Duran, pionieri della scena new romantic degli anni ’80, mandano alle stampe il loro quindicesimo album intitolato Future Past, edito per BGM e anticipato dall’uscita di Invisible, primo singolo accompagnato dall’innovativo video musicale creato da un’intelligenza artificiale chiamata Huxley.

Sono trascorsi 40 anni dall’eponimo esordio discografico della band di Birmingham, da quando le teenager di tutto il pianeta impazzivano per i “wild boys” della musica pop. Durante questi quattro decenni, Simon Le Bon si è sposato, ha avuto dei figli dalla sua duratura relazione con la supermodella iraniana Yasmin ed è addirittura diventato nonno.

Per celebrare il quarantennale di attività discografica, i Duran Duran (attualmente composti da Simon Le Bon alla voce, Nick Rhodes alle tastiere, John Taylor al basso e Roger Taylor alla batteria) si sono avvalsi della collaborazione di nomi eccellenti della musica internazionale: tra i produttori di questo nuovo lavoro in studio figurano Giorgio Moroder, Erol Alkan, Lykke Li, Graham Coxon e Mark Ronson, oltre al featuring di diversi ospiti tra cui lo storico pianista di David Bowie, David Garson, il rapper londinese Ivorian Doll, la cantante svedese Tove Lo, la garage pop band nipponica Chai.

Concepito prima del 2020, quindi ante era Covid, la pubblicazione di Future Past, così come la maggior parte delle uscite discografiche, e non solo, ha subìto una battuta d’arresto a causa della pandemia e dei conseguenti lockdown. A un anno da quel periodo di immobilismo forzato, il mondo sembra si stia riaprendo, seppur lentamente e con le dovute cautele sanitarie, a quella necessità di vecchia normalità. Sicché, anche l’ingranaggio del music business pare aver ripreso la sua marcia, cercando di guardare avanti, nonostante la diffidenza e le incertezze nel binomio presente-futuro.

Come raffigurato nell’artwork ideato dal visual artist giapponese Daisuke Yakota, che a prima vista può ricordare il funzionamento meccanico di un semaforo, i Duran Duran riflettono sulla condizione introspettiva dell’essere umano, con quel velo di malinconica leggerezza che da sempre li contraddistingue, proiettandosi verso quel concetto ciclico spazio-temporale per cui il futuro si confonde con il passato, girando intorno allo spin di un presente sempre più dipendente dalla tecnologia, dalla forma virtuale, più che dalla sostanza fisica, e dalle moderne e alienanti dinamiche interattive.

Ispirati da artisti del calibro di David Bowie, Japan, Frankie Goes To Hollywood, Nile Rodgers e Roxy Music, e sensibili alle contaminazioni con l’elettronica hi-energy di Moroder, con la dance nera, l’esotismo caraibico e con quelle che erano e che sono le logiche commerciali legate a capitalismo e consumismo, i Duran Duran, accomunati a generi quali new romantic, new wave, disco funk e synth pop, rappresentano lo zeitgeist audiovisivo di quella formula avanguardista e futurista che passò sotto la definizione di seconda British Invasion, insieme ad altre colonne portanti dell’epoca come Visage, Soft Cell, Culture Club, Wham!, Pet Shop Boys, ecc.

È come se una linea invisibile facesse da ponte immaginario (intuibile già dal titolo ossimorico della release) tra l’età dell’oro degli anni ’80 e l’edonismo che avvolge la contemporaneità: l’illusione di eterna giovinezza, il romanticismo decadente delle ballate elettroniche, la sfarzosa leggerezza dei videoclip patinati, l’enfasi evocativa e la potenza ipnotica dell’immagine, le atmosfere fumose da jazz club, le ritmiche accattivanti e scattose del funk, i groove pulsanti della disco music, la seduzione dell’outfit glamour e la qualità da navigato crooner di Simon Le Bon a fare da collante epidermico.

Future Past, nelle sue dodici tracce inedite, riassume tutte queste componenti: un revival work autocelebrativo, raffinato, elegante, evocativo, autoreferenziale, dal forte impatto emotivo e dal retrogusto amarcord, che si insinua tra i solchi e le rughe dell’attualità, senza tradire le aspettative dei fan di vecchia data e la curiosità di un pubblico meno attempato.

Come il mercurio a temperatura ambiente non modifica il suo stato liquido, mantenendo inviariate le sue caratteristiche genetiche, così i Duran Duran conservano la loro architettura sonora, elettrodance e passionale, e quelle caratteristiche pose da popstar, alla stregua di quei dandy che, seppur in età geriatrica, non intendono né abbandonarsi al conforto del flusso remoto della nostalgia né lasciarsi cullare dall’idea di tirare i remi in barca.

E anche se la barca in questione non sarà più quella che nel video di Rio solcava il vento frizzantino e le onde sinuose del mar dei Caraibi, i sessantenni Duran Duran, con un leggero lifting all’estetica retrò dei meravigliosi anni ’80 e resistendo al transito inesorabile e inesauribile delle stagioni e delle mode, festeggiano il loro anniversario da veri boss delle cerimonie, con una buona dose di ironia e consapevolezza, al centro del dancefloor di un mega party esclusivo all’interno di uno sfarzoso castello gotico-rinascimentale, circondati da celebrità del cinema e della musica pop internazionale che sembrano uscite dal programma Tale e Quale Show e fotomodelle che arrivano direttamente dalle copertine virtuali di Instagram.

D’altronde, che senso ha piangere per ciò che sappiamo già non durerà per sempre? In fondo, ogni momento creato nel futuro appartiene già al passato, quindi è preferibile godersi ciò che è impermeabile al tempo.

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