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Cowards: recensione di God Hates Cowards

Con God Hates Cowards, i Cowards presentano un secondo lavoro che allo stesso tempo è l'uscita da un tunnel: nove schegge taglienti in cui si mescolano rabbia e sofferenza, ma anche voglia di buttarsi alle spalle un periodo buio.

Cowards

God Hates Cowards

(Bloody Sound)

post hardcore, shoegaze, noise

______________

È abbastanza consueto che biografia musicale e personale s’intreccino, infuenzandosi a vicenda; a volte questo avviene nel modo più drammatico, come nel caso dei marchigiani Cowards, che nel 2021 perdono il batterista Peppe Carella.

Pubblicato un esordio postumo, s/t, l’anno successivo, a raccogliere il materiale realizzato fino a quel momento, Giulia Tanoni e Luca Piccinini hanno dovuto necessariamente fare i conti la perdita, con le domande che si fanno tutti coloro che la devono affrontare, con la necessità di ragionare sul proseguimento di un percorso professionale (l’ultima cosa a cui si pensa in certe situazioni) irrimediabilmente modificato da quella stessa perdita.

C’è voluto ovviamente del tempo, ma alla fine eccoli, con l’uscita di un nuovo lavoro che assume inevitabilmente l’aspetto di un’uscita dal tunnel.

Integrato nella formazione Michele Prosperi, eccoli quindi all’esordio con God Hates Cowards, disco che li vede proporsi come una della band più interessati della scena rock che un tempo si sarebbe detta ‘alternativa’ di casa nostra.

Nove i pezzi presenti, che pescano a piene mani da un passato glorioso fatto di sonorità urticanti e frastagliate, che guarda alla virulenza del post hardcore e agli scenari psichedelici e vagamente allucinati dello shoegaze, passando per i territori accidentati del noise, fino alla conclusione, all’insegna di un rilassamento dream pop.

Disco oscuro, su cui aleggia il fantasma della perdita, che acquista concretezza in About A Friend, ma che fa sentire la sua presenza su tutto il lavoro, con la tentazione di rifugiarsi in sé stessi in Barefoot Walking In Head, la cedevolezza nei confronti del dolore di Storm, la fuga come unico modo per non soccombere con Stay Away, lo sguardo a un futuro remoto come unica terra di salvezza in 3020, la stanchezza nei confronti del dolore e la voglia forse di pensare finalmente ad altro di WTF?

Un trio che funziona, con il duo Tanoni e Piccinini a spartirsi microfoni sguaiati ma con qualche pausa, chitarre arrembanti e il caracollare del basso, con Prosperi a svolgere con solidità il lavoro alla batteria.
Un lavoro che trascina, con la sua sana dose di rabbia, un’inevitabile componente di dolore, ma anche la voglia di lasciarsi alle spalle un periodo così difficile e complicato.

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Marcello Berlich
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