Sorry, Heels: la recensione di She

She è il nuovo lavoro dei Sorry, Heels. Il duo si accosta ad un sound più elettronico, costantemente in bilico tra atmosfere darkwave, deflagrazioni shoegaze, intuizioni EMB e dream pop.

Sorry, Heels

She

(Shades of Sound Records/Wave Records)

darkwave

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sorry-heels-she-recensioneIl caleidoscopico universo femminile, emotivo, articolato e complesso, prende forma e si concretizza attraverso la poetica di un disco elegante, riflessivo e pieno zeppo di contaminazioni. Parlo di She, il nuovo lavoro dei Sorry, Heels che segna una vera e propria svolta in ambito sonoro, abbandonati infatti gli standard rock del passato, il duo si accosta ad un sound più elettronico, costantemente in bilico tra le atmosfere darkwave, le deflagrazioni dello shoegaze, le intuizioni EMB, coldwave e dream pop pur mantenendo un forte legame con la new wave ed il post punk degli esordi.

Nessuno come una donna può sviscerare gli stati emotivi che attraversano e trafiggono il cuore di un essere umano di sesso femminile, nessuno come Simona riesce a cogliere il senso profondo di ogni percezione emotiva con una vivisezione lucida e logica.

Gli attimi di vita si trasformano in frammenti lirici cristallizzati da un racconto introspettivo basato sulle varie fasi affettive a partire dall’infatuazione capace di trapanarci il cuore al solo pensiero di poter navigare negli occhi del concupito per cadere poi a strapiombo nell’inferno acuminato della passione, nella castrazione del rifiuto, nei momenti ansiogeni governati dalle ossessioni, nella tremenda solitudine figlia dei sogni infranti ed infine nello status depressivo ma inesorabile e sensato, quello dell’accettazione della realtà anche quando risulta devastante.

Nati a Frosinone nel 2010, i Sorry, Heels di Davide Messina (ex Chants of Maldoror) e Simona Pietrucci, tornano dopo poco più di un lustro dal primo full-lenght, The Accuracy Of Silence (Gothic Music Records), con una una prova matura, densa e terribilmente seduttiva pubblicata da Shades of Sound Records/Wave Records.

Con Through The End si entra nel circuito di emozioni provate dalla She di turno, innamoramento e ardore che vanno di pari passo con la struttura del brano, l’intro ipnotico sfocia in una lenta e suadente eccitazione armonica amplificata dalla successiva She Burns, primo singolo estratto, avviluppata ad una melodia martellante capace di accedere tutti i sensi, lei brucia di passione danzando sul basso nodale di Davide e la voce straordinariamente sexy di Simona, non dura molto ed è una fortuna perché sarebbe difficile subire tanto fascino per un tempo più lungo.

Se penso alla She del disco mi vengono in mente gli stessi fotogrammi immaginati per la Miracle dei Bambara, un volteggiare lento attorno al palo di un locale qualsiasi alla fine del mondo, lontanissimo dalla quotidianità e da tutte le cose terrene, Miracle però è una donna già perduta dentro storie vissute mille volte, senza più speranze, arresa e vinta, la She dei Sorry, Heels al contrario è piena di vigore, ha gli ormoni in subbuglio ed una voglia di vita che le cola tra le gambe.

Il basso portante di Follows Signs spalanca le porte ad una nenia perversa stesa su un tappeto elettrificato davvero irresistibile sul quale galleggia la voce di Simona, come sirena di Ulisse, pronta a trascinare chi ascolta in uno straordinario vortice magnetico.

Poi c’è Something Real ed è come se si aprisse una voragine tra la prima e la seconda parte dell’album, un brano che profuma di straziante umiliazione e forzata rinuncia.

L’ossessione amorosa di The Spell’s Ballad si arena tra le note di My Dolls House mentre i sogni si spengono come lucciole calpestate da un bimbo in pieno agosto, stesso dicasi per la successiva Another Lapse dove si apre una incredibile sorpresa armonica, il duo sfodera le proprie armi migliori e produce un piccolo capolavoro di evoluta new wave al limite della trance, malata, viziosa, ambigua che cresce in modo esponenziale insieme al frantumarsi delle illusioni, si dondola ad occhi chiusi in una stanza buia illuminata solo da sfocati ricordi.

Le battute finali sono quanto di meglio ci si possa aspettare da un disco, The Void profuma di dancefloor fumosi, di cocktail e sigarette fumate fino al filtro riflettendo sugli errori fatti e sui peccati da cui qualcuno dovrà assolverci, The End Of Desire è il brano perfetto, quello che sono solita chiamare tondo. Il racconto della rassegnazione cantato con una soavità ultraterrena ed una pasta vocale in bilico tra la Nico dei Velvet Underground e la Lykke Li di David Lynch, fluttua su un manto armonico inquieto quanto basta per contrastare l’incedere di un basso imponente.

She è un concept album imperdibile, sensuale, ricercato, torbido, a tratti storto e distorto da una sorta di maledizione interiore che noi donne ci portiamo dentro, immerse come siamo nelle spire di malcelati grovigli sentimentali spesso al limite della patologia. È a questo punto del viaggio che arrivano gli artisti, capaci di descrivere l’obbligato e necessario percorso metabolico per uscire da certi tunnel letali e dare la forza a chi ascolta di fare altrettanto.

Un disco che consiglio alle anime in transito in cerca di verità nascoste, quelle impossibili da confessare, le donne inevitabilmente riconosceranno strade già percorse, gli uomini si troveranno invece in mano una chiave di lettura preziosa, probabilmente difficile da individuare senza questi nove paragrafi di vita che volgarmente chiamiamo canzoni.

 

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