Umberto Maria Giardini: La Dieta dell’Imperatrice

C’era una volta Moltheni. E c’è ancora. La Dieta dell’Imperatrice è l’album di debutto di Umberto Maria Giardini. O anche un altro disco di Moltheni. Suggestivo, ombroso e affascinante come sempre

Umberto Maria Giardini

La Dieta dell’Imperatrice

(Cd, La Tempesta Dischi)

canzone d’autore

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Prima di arrivare alla Dieta dell’Imperatrice, il disco di Umberto Maria Giardini, è necessario fare un riassunto: Moltheni pubblica il suo primo disco nel 1999, l’anno dopo si piazza bene a Sanremo Giovani, ottiene visibilità su MTV, fa un secondo disco, ha i favori della critica ma non basta perché la nuova etichetta inspiegabilmente ostacola la pubblicazione del terzo disco. Quando La Tempesta Dischi dei Tre Allegri Ragazzi Morti lo accoglie a bracce aperte, i successivi dischi abbandonano le sonorità elettriche acquistando atmosfere più intime, sognanti, anche amare.

Cantautore apprezzato, stimato, in giro le recensioni partono da voto 7 in su, ma non ottiene, a sua detta, il riscontro che merita. Non mancano le polemiche, annuncia di ritirarsi dalle scene, anzi no, fa un disco con i Pineda ma il suo progetto artistico a nome Moltheni pare morto e sepolto, stufo di un sistema a cui non importa la musica di qualità. La TV di Amici, di X-Factor, le classifiche di vendita e i musicisti sopravvalutati hanno trionfato.

Che un talento del calibro di Umberto Maria Giardini in arte Moltheni sparisse dal mondo della musica non ci credeva nessuno. Soprattutto considerando che il ragazzo ha scritto ottimi brani, dischi piacevoli, mai letto una recensione negativa in giro. Quella sua sottrazione del rock nelle sue ultime composizioni personalmente l’ho sofferta e La Dieta dell’Imperatrice persevera sullo stile acustico che ha contraddistinto i suoi ultimi lavori, legando le chitarre elettriche di soppiatto alle nuove canzoni.

Nei due minuti de L’Imperatrice, lo strumentale brano di apertura che avvia il disco marchiato col suo nome di battesimo, si avverte l’uso della chitarra più marcato rispetto ai precedenti lavori, ma il piano Rhodes ha sempre la sua parte offrendo il suo incedere gravoso negli assemblaggi musicali. E poi arriva la poesia, Anni Luce, Il Trionfo dei Tuoi Occhi, Fortuna Ora, intrise di liricità, ritmi ipnotici e delicati come nell’amabile Genesi e Mail, poche note riprodotte in un loop mentre in sottofondo assistiamo a un tappeto di violini e squilli di chitarra.

Con brani come Discographia e Saga comprendiamo che è un disco che ha una sua lentezza narrante senza risultare apatico e indolente. Umberto ripropone la solita ricetta che lo ha visto strappare quei 7+ alle riviste musicali come la nostra, aggiungendo sfumature di chitarra che adornano le melodie avvolgenti, e un piano ombroso predominante e delicato allo stesso tempo, alla grazia con cui ha sempre vestito le sue canzoni.

Il canto morbido dei dieci brani prodotti da Antonio Cooper Cupertino (PJ Harvey, Anna Calvi) fa apparire le canzoni autunnali e nebbiose, ma la sensazione è che non siamo più a ballare in punta di piedi su un pavimento pieno di vetri rotti, ma in una grande stanza piena di luce. Un disco evocativo, prosaico e non chiassoso, dove l’ermetismo immancabile dei suoi testi visualizzano frammenti emotivi divisi tra amore e collere contro la musica in offerta speciale nei megastore.

Umberto Maria Giardini vuole sorprenderci con l’innesto di alcuni segmenti roboanti forti dell’esperienza coi Pineda, mi riferisco per esempio alla strumentale Il Desiderio Preso per la Coda che spiazza l’ascolto dopo il bellissimo e drammatico, ipnotico singolo, Quasi Nirvana, lanciato sui canali musicali. La progressive Il Sentimento del Tempo è una meravigliosa canzone con cambi di tempo, strumenti che si accavallano, ritmi travolgenti e inaspettati. Queste ultime canzoni che sto citando in un prossimo album potrebbero rappresentare un punto di svolta nella composizione musicale di questo artista, soprattutto se ci inseriamo anche l’apocalittico brano finale di quest’opera, L’Ultimo Venerdì dell’Umanità.

Insomma, Moltheni non ci ha mai lasciati per davvero. E per fortuna.

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