Lita Ford: Living Like A Runaway

Il rock in menopausa: Living Like A Runaway è forse il miglior disco di Lita Ford, che torna a graffiare con le unghie la sua chitarra

Lita Ford

Living Like A Runaway

(Cd, SPV/Steamhammer, 2012)

hard rock

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Lita Ford- Living Like A RunawayNel 1975 nacquero le americane Runaways, una delle prime band femminili dell’hard rock che ispirarono 20 anni dopo il movimento delle Riot Grrrl, come L7 e Bikini Kill. Capitanate da Joan Jett (voce e seconda chitarra) e Lita Ford (chitarra solista), si separarono dopo 4 dischi.

La Jett, influenzata dai Ramones, pubblicò mediocri dischi tendenti al punk, mentre Lita prese lezioni di canto e grazie al suo talento con la sei corde indirizzò la sua musica attraverso canzoni maggiormente hard rock. Il suo primo album non andò molto bene, ma tra la fine degli anni 80 e l’inizio dei 90 ottenne un maggiore successo commerciale con Lita e Stiletto, dividendosi la scena femminile con la teutonica Doro Pesch. Poi dal ’95 una lunga assenza dalle scene.

Living Like A Runaway è un disco che non mi aspettavo, dato che tre anni fa il precedente Wicked Wonderland si rivelò un vergognoso amalgama di suoni industrial e heavy metal: dopo quasi 15 anni di silenzio, uscirsene con un disco così orribile aveva compromesso la sua carriera di musicista, ai miei occhi. Quindi capirete lo scetticismo con cui ho accolto questo album appena mi è capitato tra le mani.

Il suo ottavo lavoro racchiude 10 tracce inedite per un regale ritorno alle origini. Anzi, oserei dire che questo è il suo album migliore. Il nome dell’album richiama non a caso le Runaways e in tutto il disco si avverte il meglio della discografia di Lita Ford. Abbiamo brani che riportano agli anni del punk rock come Branded e Hate che fa sembrarla una copia di Courtney Love, troviamo un po’ di elettronica che avvolge la sua chitarra in The Mask e non manca qualche bella ballata, a cominciare dalla bonjoviana Living Like A Runaway e l’acustica e confidenziale Mother scritta per i suoi figli.

Buona tecnica, linee melodiche classiche, assoli metal incisivi come quelli di Devil in my Head, in cui è possibile apprezzare la sua capacità con lo strumento. Il finale composto dal trittico Asylum, l’ironica Love 2 Hate U e A Song To Slit Your Wrists By (quest’ultima una cover dei 58, una delle band di Nikki Six) conclude piacevolmente l’ascolto. In particolare consiglio Love 2 Hate U anche se è più mainstream del dovuto.

La signora ha quasi 55 anni, i tempi in cui il suo culo troneggiava nei poster sono andati, sembrava il meglio l’avesse già dato ma sa ancora come fare rock. Consigliato ai nostalgici degli anni 80.

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Luca Paisiello
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