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Holding Abscence: recensione di The Noble Art of Self Destruction

Accettare. Forse con rassegnazione? Si chiude la trilogia post hardcore dei britannici Holding Absence, con 10 brani racchiusi in un concept sulla presa di coscienza di se stessi, della morte, delle cose che semplicemente succedono.

Holding Abscence

The Noble Art of Self Destruction

(Nuclear Blast / Ada)

post-ock, ost hardcore

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I 4 musicisti di Cardiff sono al loro terzo album con The Noble Art of Self Destruction, il nuovo disco degli Holding Absence composto da 10 brani che si incentra sul miglioramento personale, le cui imperfezioni fanno parte della nostra identità. In queste canzoni è difficile trovare una certa ricerca stilistica da parte della band che preferisce puntare ancora alle chitarre post rock roboanti e la voce di Lucas Woodland sempre lanciata a gridare qualunque cosa tra melodie Emo e Hardcore. E non è un brutto album, dato che fa parte di una trilogia in cui si è esplorato prima il tema dell’amore, poi quello della perdita, e infine la consapevolezza di sè.

Head Prison, il primo brano del disco, fa da spartiacque là dove si era concluso The Greatest Mistake of My Life, l’album pubblicato nel 2021 con il cambio nella formazione del nuovo chitarrista Scott Carey, che oltre a spaccare di brutto sulle corde è capace di apprezzabili arrangiamenti. Le liriche delle canzoni raccontano di stati di depressione, turbamenti, incertezze, negazioni. A Crooked Melody parla proprio di come sia facile raccontare bugie a se stessi e di come sia sbagliato coprirsi le spalle con le menzogne. Da False Dawn si esamina il potenziale interiore e Scissors invita a tagliare il peggio di noi, altrimenti non è pensabile evolversi.

Molte le canzoni tirate, elettriche, che si rifanno a quel melodic hardcore britannico dell’ultimo decennio che può stufare alla lunga ma che raccoglie una platea di giovani estimatori, e gli Holding Absence cercano anche la ballad d’effetto. Honey Moon inizia proprio con un lieve pezzo acustico per poi sfociare in un lento brano elettrico ardente, pieno di atmosfera, giusto per raccordare prima e seconda parte dell’album, perdendosi però nei soliti mielosi “siamo come stelle, come costellazioni, inerti come satelliti, ti vedo vestita della luna”, veramente molto stucchevole. Un romanticismo da due dita in gola che sembra dire “è tutto bellissimo-issimo” fin quando non arriva Death, Nonetheless su una esposizione tematica che lascia perplessi, perché si parla di suicidio quanto della fatalità della morte, di come la vita ha poco senso, proseguendo il tema con Her Wings dove nelle liriche la morte viene giustificata perché ha un suo certo fascino.

 

Trovo il concept interessante sebbene nei testi non è che proprio sappiano cavarsela al meglio, ma si prosegue ascoltando In These New Dreams dove si torna a essere coscienti dei nostri peccati: non dobbiamo assumerci esageratamente delle colpe, ma conviverci e imparare dagli sbagli. Il tutto sempre a bombe di chitarre e urlazzi di gran potenza che nel complesso offrono una bella miscela esplosiva. Il David di Michelangelo è stato di ispirazione al disco e The Angel in the Marble è la metafora della nostra personalità, un grosso blocco di marmo che pian piano dobbiamo imparare a cesellare, togliendo pezzi che non servono per rivelare infine la bellezza nascosta.

Sito web: www.holdingabsence.com

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Luca Paisiello
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