Edda
Fru Fru
(Woodworm)
pop
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Sono passati dieci anni dall’inaspettato debutto discografico da solista di Edda, capace di sorprenderci ancora con un quinto album, Fru Fru, figlio dell’affetto che ripone verso la passata musica leggera nostrana e di una filosofia di vita che abbraccia la leggerezza. Come i wafer in copertina, biscotti leggeri su cui viene ricalcato il suo nome.
Il cantautore milanese fa sua l’arte degli hare krishna con il loro motto “Chant and Be Happy”, offrendoci nove brani in direzione pop decisamente allegri, divertenti, ballabili, senza la pretesa come al solito di farsi prendere sul serio, finendo comunque per fare la Stellina.
Il nuovo album non è di facile assimilazione per chi non è legato all’Edda di Graziosa Utopia, figuriamoci chi ancora lo ricorda quando era nei Ritmo Tribale e ancora non se ne è fatto una ragione. Nell’ultimo anno Edda si è divertito parecchio, prima collaborando con Umberto Maria Giardini sul brano Madre Nera, poi con gli Esterina a duettare su Si Che Lo Merita e con Gianni Maroccolo in Alone, infine il cameo nei panni dell’arcigno generale dell’esercito di sbandieratori nel video di L’Amore è una Dittatura degli Zen Circus. Era un fiolo timido che non sapeva se tornare sulle scene, e ora invece si lascia trascinare ovunque e se la gode.
Così perdonatelo se non lo sentiremo più nelle versioni elettriche di L’Assoluto o Kriminale, già nel disco precedente era evidente l’allontanamento da un certo rock, non prendetela a male se Edda funkeggia al ritmo di disco nell’ironica e contradditoria E Se, proseguendo nell’intento di prendere in giro un certo modo di essere cantanti in Thesoldati, esagerando con il falsetto in Edda, canzone dedicata alla madre scomparsa, e scopiazzando, a sua detta, gli Equipe 84 in Vela Bianca che non sarebbe male suonarla assieme ai Calibro 35, ricordando poi i tempi in cui studiava quei dannati Ovidio ed Orazio al liceo classico, non certo con la stessa venerazione verso Paolo e Francesca del Venditti prima degli esami.
Tra le canzoni che ho apprezzato per la ritmica acustica c’è Samsara, dove si tirano in ballo San Francesco che ama gli animali mentre Sant’Agostino se ne ciba. Italia Gay finisce per essere il suo sogno di una nazione più tollerante e LEGGERA, un paese bellissimo che dovrebbe provare ad essere più felice, almeno per un’ora sola, citando un celebre brano di Fedora Mingarelli/The Showmen.
Insomma, Edda fa manbassa della canzonetta italiana con cui è cresciuto da bambino, una moderna Amanda Lear con il fervore degli Strokes di Come Down Machine. Qualcuno su un gruppo facebook l’ha definito “Tenco + Disco Inferno”, al mio collega Andrea Musumeci questo disco ricorda quel sound elettropop anni 80 dei Matia Bazar (Edda) e Alberto Camerini (Abat Jour)… è come se Stefano Rampoldi avesse preso il treno diretto all’epoca della canzonetta gioiosa e spensierata, ed è da quelle parti che sentiremo i suoi prossimi lavori probabilmente, dato che ha dichiarato ormai di non sentire il rock nella sua vita e che non suonerà più i brani dei suoi primi dischi che lui definisce ormai teneramente lamentosi.
Il vero “colpevole” degli arrangiamenti di questo album è il produttore artistico, Luca Bossi, che ha lavorato sui provini di Edda, riempiendoli di suoni pop su richiesta del cantante, con l’intento di realizzare un prodotto leggero, fresco, primaverile. La mia sensazione è che scomponendo questo lavoro e rivestendolo con strumenti più elettrici possa suonare completamente diverso, ed è questo che a volte fa la fortuna di un artista quando si mette nelle mani di un producer scafato. “I suoni sono molto importanti e anche se non ce ne rendiamo conto, – dice Edda – influenzano in modo determinante la nostra esistenza. Vanno scelti bene.”
Così inevitabilmente Fru Fru è un album pop trascinato dalle emozioni di Stefano, un ragazzo di 55 anni libero di cantare quello che gli piace, senza farsi calcoli anche se quando esce un suo disco ha un velo d’ansia. Se poi dietro continua da avere un discreto manipolo di fans, significa che ha fatto le giuste scelte per rimanere, dopo una decade di dischi solisti, ancora a fare musica e a girare i palchi italiani.
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