Otherworldly Things: recensione di Things: Heavy Dream Cycle

Fra rock e power pop, i newyorkesi Otherworldly Things realizzano un EP di sei brani che ha l'unico peccato di essere troppo breve.

Otherworldly Things

Heavy Dream Cycle

(Magic Door Record)

rock, power pop

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Se a qualcuno piace la musica garage e contemporaneamente i Beatles, con gli Otherworldly Things può essere consapevole di aver fatto bingo!

La band newyorkese, giunta alla sua seconda fatica, con questo delizioso EP (Heavy Dream Cycle) fa capire come due cose, così lontanamente affini, possano trovare una congiunzione forte ed incredibilmente vicina.

Partiamo dall’analisi del songwriting che è l’aspetto più rilevante. I sei brani (purtroppo, vista la qualità, avremmo sperato che ne fossero di più) sono incisivi, perché hanno delle melodie ben precise che non scadono, però, mai nella banalità, ma che risultano accattivanti ogni volta che si ripresentano all’orecchio dell’ascoltatore.

La voce del leader, Jim Browne, ci riporta indietro con le lancette del tempo al periodo degli anni sessanta e a formazioni top come Small Faces o The Kinks. Altrimenti, se vogliamo andare a tempi più vicini, a quella di un grande come Ty Tabor dei sottovalutati King’s X.

Le chitarre sono fuzz, ma non troppo, e questo aspetto risulta apparire non disturbante.

Per il resto, se andiamo a scandagliare le canzoni, si ha solo l’imbarazzo della scelta.

La conclusiva Escape, per esempio, è un lento crepuscolare di assoluto livello, mentre l’iniziale I’M Tired Of Monsters è un rock n’ roll che pare essere uscito da un garage di una qualsiasi band di Londra dei sixties.

No Use si rivela una piccola cavalcata, educata e ben inquadrata, che si dipana nei suoi tre minuti e mezzo con la band che picchia duro, ma che si ricorda di usare al momento giusto un ritornello pazzesco che si conficca in testa e decide di non uscire più.

Work Out Right ha tutto per essere ricordato come un vero e proprio omaggio, neanche troppo velato, ai quattro di Liverpool, a differenza di Time Turns To Memories che si caratterizza per la sua delicata solidità.

Insomma, non c’è niente da buttare, ma tutto da prendere con questo Heavy Dream Cycle.

Il peccato originale sta nella sua brevità, ma a volte è meglio avere sei canzoni perfette rispetto a quando si riempie un disco di tantissimi brani di cui, ad esempio, otto risultano essere chiaramente dei riempitivi.

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Francesco Brunale
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