Le Scimmie: recensione di Adriatic Desert

Un volto di scimmia primitiva dalle fattezze demoniache è l'artwork di copertina che rivela, in modo diretto, l'impronta sonica ed emozionale di Adriatic Desert, il nuovo album del duo vastese Le Scimmie.

Le Scimmie

Adriatic Desert

(Frekete! Records)

stoner metal, fuzz, strumentale, doom, heavy psych, space rock

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Dopo un’astinenza di ben sette anni dalla pubblicazione di Colostrum, il duo stoner abruzzese Le Scimmie torna sulle scene dell’underground nazionale con l’album Adriatic Desert, edito per Frekete! Records e anticipato dall’uscita dei singoli Adriatic Desert e Acid Lime.

Un volto di scimmia primitiva dalle fattezze demoniache – con tre occhi spiritati e iniettati di sangue mentre spara fulmini fluidi dalle narici – è l’artwork di copertina che rivela, in modo diretto, l’impronta sonica ed emozionale di questa nuova esperienza discografica: un rovente stoner di provincia in cui senso di appartenenza al proprio territorio e anima musicale d’oltreoceano si mescolano all’interno di un sentimento condiviso, immaginando le spiagge selvagge della Costa dei Trabocchi sconfinare nelle dune sabbiose della California.

Il deserto inteso come metafora letteraria di abbandono e ricerca interiore, e, nel caso della band vastese, come ispirazione scenica ideale ed evocativa per sonorizzare storie di afose allucinazioni lovecraftiane e passeggiate solitarie sulla battigia della costa adriatica, facendo a meno della componente vocale per esprimersi esclusivamente attraverso un corposo sound metallico heavy-psych dai forti richiami desert rock anni 90 e con dilatazioni ritmiche dal passo pachidermico (Fluorescent Dinosaur) di matrice space-doom.

L’anatomia de Le Scimmie è sempre quella essenziale e inscindibile composta da chitarra e batteria, così come le coordinate stilistiche riff-based restano aderenti al progetto puramente strumentale concepito nel lontano 2007 dal deus ex machina e riff-maker Angelo Xunah Mirolli, insieme alla collaborazione del batterista Marco D’Aurelio.

Un climax strumentale carico di effettistica e permeato da un’aura mistica, dove pedaliere wah-wah e fuzz friggono, ribollono e penetrano sotto la scorza epidemica delle otto tracce di Adriatic Desert, proiettandosi su una compattezza groove-sonica che coniuga psichedelia acida seventies, heavy metal degli ’80 e reminescenze sabbathiane, quasi a voler riavviare quel percorso spirituale che conduce al santuario di realtà iconiche del genere, quali Electric Wizard, Kyuss, Sleep, Nebula e Black Rainbows.

Un magma sonoro che rilascia correnti ascensionali intense e lisergiche, unite a un effluvio di riff pesanti, grassi e ruggenti, a cui si aggiungono fraseggi dal carattere melodico (2007). Così, Le Scimmie si arrampicano e roteano tra amplificazioni fuzz-noise, progressioni frenetiche e stoppate (A Giant Summer, Wild Boar, Acid Lime, Adriatic Desert), fragorose distorsioni di chitarre rugginose, atmosfere droniche ed echi di scosse telluriche che finiscono per slabbrarsi e sprofondare nei pantani fangosi e tossici (Mammatus, Hysteria) di uno sludge bongzilliano.

Insomma, sono trascorsi tanti anni e diversi project side sotto i ponti de Le Scimmie, eppure nulla sembra mutato. Un po’ come guardarsi indietro e scoprire che le cose sono rimaste lì, dove le avevamo lasciate, aggrappate a una retrospettiva calligrafica che, sempre più spesso, diventa l’unico mezzo per aggirare, almeno parzialmente, le maldestre e velenose omologazioni del presente.

 

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