La Collera: recensione di Dove Inizia La Notte

Quello dei La Collera è un frizzante power rock radiofonico che sa di nostalgico viaggio a ritroso negli anni '90 e nei primi anni zero dell'alternative rock tricolore e di quel sound a tinte brit-pop.

La Collera

Dove Inizia La Notte

(Alka Record Label)

power rock, AOR, new wave, cantautorato italiano

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A distanza di tre anni dall’esordio con l’EP omonimo, la rock band milanese La Collera manda alle stampe il suo primo full-lenght intitolato Dove Inizia La Notte, edito per l’etichetta ferrarese Alka Record Label, sotto la produzione artistica di Michele Guberti, e anticipato dall’uscita di ben quattro singoli, Obliqui/Imperfetti, Mille Pezzi, Fotografie e Che Cosa Sai di Me feat. Pierpaolo Capovilla.

Con questo nuovo album, il quartetto meneghino – Giovanni Linke Casalucci alla voce, Giannandrea Forestieri alla chitarra, Alessandro Pisu al basso ed Enrico Buttafuoco alla batteria – conferma le potenzialità espresse nel precedente EP ed esibisce una maturità calligrafica più incisiva sotto l’aspetto strumentale e maggiormente focalizzata per ciò che riguarda l’ambito testuale, muovendosi attraverso tutte quelle impercettibili linee di confine emozionali che regolano la nostra sopravvivenza e si insinuano nella sofferenza delle riflessioni, evidenziando il dualismo ossimorico che ruota intorno alle contraddizioni del vivere quotidiano, in cui la distinzione tra reale e surreale è sempre più demandata a intelligenze artificiali, e tutte quelle imperfezioni che, in fondo, accomunano ognuno di noi, rendendoci ancora così simili e umani, come “furtivi animali istintivi in cerca di un’anima”.

Dove Inizia La Notte è il momento spartiacque in cui ha origine il nostro malessere, tra la paura che il cuore si trasformi in pietra nuda e finisca per assecondare l’abitudine al timore e alla codardia, e tutti quei dubbi che vengono ricondotti con forza alla luce pragmatica della ragione. Eraclito riteneva che la legge segreta del mondo risiedesse proprio nella stretta connessione dei contrari che, in quanto opposti, lottano fra di loro, ma al tempo stesso non possono fare a meno l’uno dell’altro, dato che vivono solo l’uno in virtù dell’altro.

Quello dei La Collera è un frizzante power rock radiofonico dal taglio internazionale e fruibile nell’immediato; un disco che sa di nostalgico viaggio a ritroso negli anni ’90 e nei primi anni zero dell’alternative rock tricolore e di quel sound a tinte brit-pop, con una sezione ritmica vigorosa e reminescenze di malinconia new wave ottantiana a tratteggiare passaggi che si aprono a tonalità poetiche, chiaroscurali e agrodolci, in cui convivono linee ritmiche pulsanti, ricerca melodica, atmosfere intime e liriche in italiano, quando dirette quando ermetiche.

Sull’esile orlo di demarcazione che separa il giorno dalla notte, il bene dal male, ciò che è lecito da ciò che non lo è, la frenesia dalla pazienza, il bianco e il nero della depressione invernale dalle colorite fioriture della rinascita primaverile (raffigurato nell’artwork), ecco materializzarsi flussi di coscienza sottoforma di invocazione blues – oscuro, scarno, spietato e sincero – come nel brano Che Cosa Sai di Me, in cui le voci di Giovanni Casalucci e Pierpaolo Capovilla danno vita a un dialogo di profonda intensità, rivolgendosi a qualcuno, o qualcosa, che crede di conoscerci ma che invece sta solamente proiettando su di noi le proprie aspettative, il proprio controllo psicologico: “Che cosa sai di me? Forse tutto, forse niente”.

L’apparente luminosità della veste musicale si confonde con il tema del suicidio in Morire Non È Più di Moda, mentre solitudine e malinconia affiorano nell’osservare quelle vecchie polaroid sgualcite che rievocano ricordi di un mondo ormai distante, che non ci appartiene più (Fotografie), nel rammarico di certe emozioni destinate solo al favore della nostalgia e nel conflitto interiore che brucia tra pace e rimpianto, facendo i conti con la crudele tara tra passato e presente: “E col tempo sarà più facile, e meno acuto il mio ricordo, verranno giorni e non vi sarai, si fa così per sopravvivere, le cicatrici non le vedo più, se le accarezzo non le sento più”.

Insomma, se è vero che “certi posti non sono fatti per sentirsi soli”, è altresì credibile che nessuno può sottrarsi all’equilibrio complementare dei contrasti, estremi come due facce della stessa medaglia, ma dipendenti l’uno dall’altro. Il dilemma esistenziale si divide, pertanto, tra la scelta di rimanere fermi e fossilizzati nel mal di vivere, lasciando che il tempo corroda il nostro sguardo fino a ridurlo arido e opaco, oppure abbracciare la serenità di sapersi transitori e imperfetti, e ogni tanto sorriderne.

 

facebook/LaColleraband

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