James Blake (recensione cd omonimo)

James Blake, il giovane inglese fa accoppiare soul e dubstep: quello che ne esce è un lavoro unico, moderno, indimenticabile sin dal primo ascolto

James Blake

s/t

(Cd, Polydor)

dubstep

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James Blake recensione cdPremessa necessaria, vogliate perdonarmi:

Un ragazzo dell’89 in Inghilterra può sfornare da solo un disco, ma questo lo possiamo fare anche qui in Italia. Un ragazzo dell’89 in Inghilterra può sfornare da solo un disco che viene acclamato dalla stampa e dalla critica ottenendo anche un discreto successo commerciale e candidandosi per la vittoria del contest made in BBC “Sounds of 2011“. Questo in Italia non può succedere, lo sappiamo bene; e non perché gli inglesi abbiano più talento rispetto a noi, o più fantasia, o più voglia di sperimentare e di mettersi in gioco.

No. Qui in Italia abbiamo due grossi problemi: il primo è la sopraffazione dello spettacolo a discapito della cultura, sempre più relegata ad ambiti di nicchia cosidetti “elitari” (lo sappiamo bene che qui in Italia chi ama la cultura e l’arte in qualsiasi forma esse si manifestino rischia di essere additato come radical chic); il secondo problema è che in questo paese, a dispetto di altri, c’è una ormai radicata tendenza alla gerontocrazia, e non mi riferisco al nostro parlamento, ma allargando il nostro orizzonte visivo potremmo facilmente notare come l’ancien regime intaccabile dei mass media (riferendoci soprattutto alla televisione e a molti giornali di grande tiratura) sia legato col bostik alla vecchia tradizione, guardando storto chiunque proponga qualcosa di nuovo, di davvero nuovo, escludendolo dalla ormai scarna propaganda culturale italiana (l’esempio del festival di Sanremo, per quanto banale possa essere, rende appieno l’idea).

Tutto ciò porta per forza di cose, quasi per inerzia, ad un impigrimento generale che si ripercuote nella società stessa, nel mondo del lavoro, nel mondo dell’arte e della cultura. Perciò ben venga James Blake dall’Inghilterra, sperando che possa destare l’animo di qualche vecchio giornalista titubante dinnanzi ai suoni sintetici o di un giovane musicista che non abbia il coraggio di proporre ciò che vuole suonare per paura di non essere accettato dal mercato. Solo gente come James Blake, qui in Italia, può creare un nuovo mercato ed una nuova onda artistica/culturale. Mentre aspettiamo godiamoci l’omonimo disco dell’inglese.

Finalmente parliamo del disco:

James Blake esce allo scoperto con un disco omonimo dopo alcune ottime prove (tra tutte CMYK, uscito nel marzo dello scorso anno), riscrivendo in maniera radicale il futuro della musica soul. La peculiarità che più salta all’orecchio infatti è questa intensa e perfetta commistione tra dubstep e cantato soul: bassi profondissimi, downtempo di matrice trip-hop, samplers di varia natura, il tutto domato dalla bellissima voce dell’inglesino che riesce a rendere appieno il disagio e la malinconia del tipico cantato soul (potremmo trovarci di fronte all’Otis Redding del 2000). Musica dell’anima insomma, ma di un’anima moderna, al passo coi tempi (o leggermente avanti), al contempo sanguigna e sintetica. Ed è questa forse la caratteristica più interessante ed anche affascinante dell’LP.

Il primo singolo estratto è stato Limit To Your Love, brano che ha avuto un successo straordinario (soprattutto nel Regno Unito) e dall’indubbia qualità compositiva e lirica. Ma il brano che forse maggiormente segna la grandezza e, volendo, anche la genialità di Blake è The Wilhelm Scream, straordinaria e tristissima cronaca di un uomo che sta cadendo (non sappiamo se in senso vero o figurato, alcuni associano la canzone all’11 settembre) che non fa altro se non ripetersi che non solo tutto ciò che ha avuto, ma anche tutto ciò che non ha mai avuto finirà per perderlo, per non sognarlo, per non amarlo mai più (all that I know is I’m fallin’).

Visto che “parlare di musica è come ballare d’architettura”, credo sia d’upo smettere di parlare del disco in se, confermando comunque che ci troviamo davanti ad una delle più piacevoli, fresche, giovani ed interessanti evoluzioni che la musica abbia mai sviluppato negli ultimi anni. Forse (e qui tento d’indossare le vesti dell’oracolo) questo disco sarà possibile considerarlo uno dei futuri manifesti degli anni ’10 del nostro millennio. Ma il tempo sarà l’unico giudice, l’unico fattore che potrà confuntare o meno la mia premonizione. E James Blake ne ha ancora tanto di tempo, tantissimo, per dimostrare tutto il suo valore.

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Giovane bello ed intelligente.

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