C’mon Tigre: recensione disco omonimo

Il disco omonimo del collettivo C'mon Tigre è un melting pot perfetto di jazz, rock, funk, folk e psichedelie varie. Un interessante insieme di generi diversi tra di loro che trovano una dimensione adatta e a dir poco stravagante

C’mon Tigre

s/t

(Autoproduzione)

folk, jazz, rock, psych, funk

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cmon-tigreFolk, funk, rock, psichedelia e un pizzico di jazz: nel disco omonimo dei C’mon Tigre c’è un po’ di tutto. Questo strano ensemble ci porta a spasso per il mondo, mescolando sonorità lontane tra di loro e ponendo la musica ad un altro livello difficile da definire con una sola parola.

Un mix musicale, un calderone di generi che combaciano alla perfezione, che si incastrano stupendamente l’uno con l’altro, una sintonia ordinata nel caos.

Dal funk di Federation Tunisienne De Football ai misteriosi e seducenti scenari orientaleggianti di Fan For A Twenty Years Old Human, dal disordinato “free-jazz” decorato da cupi sintetizzatori di A World of Wonder al viscerale rhythm and blues spezzato di December, questo collettivo bizzarro formato da personalità diverse affronta un percorso stravagante ed innovativo che fonde elementi in antitesi, riuscendo a tirarne fuori una sintesi geniale che riesce a porsi come una delle vere novità dell’anno appena trascorso.

Fiore all’occhiello dell’intero lavoro è forse Commute, brano virtuoso fortemente jazzato e sporcato pesantemente di blues in cui le varie e numerose parti trovano un intenso equilibrio privo di interferenze. Particolarmente degna di nota la divertente beatbox di Queen In A3.

Una zuppa con tanti ingredienti intrecciati che hanno trovato una dimensione a sé. Un disco che bisogna necessariamente ascoltare per capire di cosa si tratta.

Complicato. Ma di una bellezza unica.

 

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