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Clan Destino: la recensione di L’Essenza

Un evento triste e drammatico come la morte dello storico bassista Luciano Ghezzi, ha rimesso in moto la macchina dei Clan Destino, che torna col nuovo album L'Essenza.

Clan Destino

L’Essenza

(Sunflower)

rock

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Un evento triste e drammatico come la morte dello storico bassista Luciano Ghezzi, ha rimesso in moto la macchina dei Clan Destino, la mitica band di Ligabue che negli anni novanta aveva realizzato due ottimi dischi che, purtroppo, sono passati sotto traccia, nonostante avessero al loro interno tante buone canzoni.

Ora che siamo nel 2022 tante cose sono cambiate rispetto a quegli anni, ma non la passione di questi ragazzi che, intanto sono diventati dei distinti signori di mezza età e che suonano con una grinta e una voglia che non è seconda a nessuno. L’Essenza, dopo vari ascolti, risulta un lavoro superbo che cancella ogni tipo di incertezza e si rivela di gran lunga il miglior album di questa formazione che ha curato tutti i dettagli con meticolosa precisione.

In primo luogo va detto che il sound è molto granitico a partire dall’opener Manifesto che strizza l’occhio al mitico EP dei Negrita Paradisi Per Illusi. È un brano cadenzato, ma dal ritornello magnifico.

Il livello si alza ancora di più con la successiva Troppo Di Niente che è tirata come non mai. Max Cottafavi è un chitarrista fantastico e la sua chitarra ruggisce come mai aveva fatto in passato. Gigi Cavalli Cocchi picchia come un fabbro e la canzone vola nel senso più puro del termine.

 

Il momento riflessivo si materializza con I Fiori Di Domani, ballata che sarebbe stata ottima per i primi lavori del Liga nazionale. I testi, il più delle volte, ricordano l’amico scomparso e ascoltare con attenzione le parole che vengono dedicate a Ghezzi è un qualcosa di ampiamente poetico.

Diamante Fragile si inserisce nella tradizione dei pezzi rock n blues tipici dei Tom Petty o dei Kenny Wayne Shepherd d’annata, mentre Lettera Per Me è un’altra scheggia impazzita. Anche qui si corre tantissimo con Mirco Consolini che fa di tutto con il suo basso per omaggiare al meglio Ghezzi.

Fornaciari rimane uno dei segreti del gruppo e il passare del tempo non ne ha scalfito la sua voce che è a suo agio su ogni tonalità che gli tocca cantare.

Il blues più torbido viene rivisitato con Finché L’Amore E’ In Città che è un lento non immediato, ma che cresce ascolto dopo ascolto.

Le atmosfere si fanno più cupe con Tempo Perso. La chitarra arpeggiata di Cottafavi disegna melodie nebulose e notturne che si dilatano in sede di ritornello.

Si entra in un campo difficile da descrivere, perché la canzone è semplicemente perfetta, dal momento che porta con sé i crismi di quello che dovrebbe essere un tradizionale pezzo rock.

Si ritorna su atmosfere più tambureggianti con Il Gioco E’ Sempre Quello che non avrebbe sfigurato negli ultimi dischi dei Deep Purple. Qui, invece, sono le tastiere di Giovanni Marani a recitare le parti che Don Airey mette in pratica da una decina di anni a questa parte, senza che le stesse siano troppo invadenti.

Siamo, ormai, verso la fine del viaggio, ma non mancano fortunatamente le sorprese. Per Essere Liberi si rivela una canzone semi acustica, da viaggio o, forse, da free highway americana.È molto gradevole nel suo insieme, mentre Grazie Per I Giorni è un blues di qualità che vede la partecipazione di Ligabue nel finale e che è un sincero ringraziamento al buon Ghezzi.

L’ottima titletrack, infine, chiude un lavoro sorprendente, bellissimo, pieno di speranza, sincero e rock nel senso più puro del termine. Davvero niente da dire.

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Francesco Brunale
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