Appaloosa: Trance44

Trance44, il trip degli Appaloosa che si muove tra incubi lynchiani e visioni psichedeliche. Senza lieto fine

Appaloosa

Trance44

(BlackCandy Records)

psychedelic rock, experimental, post-rock

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Appaloosa- Trance44Psichedelia  dilatata e visioni sospese fra incubo e onirismo: sono questi i due concetti chiave del nuovo album degli italiani Appaloosa dal titolo Trance44, il quinto in carriera. Attivo dal 1998, il gruppo livornese ha partecipato a numerosi festival condividendo il palco con molti artisti come Verdena, Black Rebel Motorcycle Club, Afterhours e Calibro 35. Negli anni passati ha suonato più volte in giro per l’Europa, ed anche quest’anno il tour del nuovo album è passato nei paesi più importanti (Olanda, Francia, Germania, Spagna, UK).

La particolarità di Trance44 è che è stato realizzato da soli due dei quattro componenti della band, ovvero i più longevi Niccolò Mazzantini (basso, synth) e Marco Zaninello (batteria). Inoltre tra i collaboratori di questo disco figurano Simone Di Maggio, Rico degli Uochi Toki e Marina Mulopulos.

E’ all’insegna della psichedelia che Amigo Mio apre l’album. Il suono è ovattato e la chitarra ripete gli stessi accordi in uno stato catatonico, come in un mantra allucinato, tra dissonanze ed effetti cristallini.

L’inizio di Barabba (Lu Re) ricorda i Brian Jonestown Massacre. Poi il brano si delinea meglio assumendo la forma di un viaggio spaziale, tra radiazioni planetarie e visioni da pejote onirico-desertiche in odore Acid Mothers Temple. Il finale è angosciante e morboso.

Deltoid cambia decisamente ritmo grazie a basso e batteria granitici, mentre il synth ricama su distorsioni nello sfondo. Santour è solo il primo dei tre brevi intermezzi che compongono l’album, e sembra il campionamento di un rituale sacro.

In Trance44 abbiamo un sunto di tutto ciò che abbiamo ascoltato in precedenza: si parte con un ritmo veloce su cui si innestano voci campionate e nastri al contrario. La seconda parte è più rallentata e dilatata, frutto della vena psichedelica del gruppo livornese, come a voler  intonare un “om” intenso e sentito. La traccia poi riprende la parte iniziale come un cerimoniale della giungla, fatto di voci in preda al delirio e danze sciamaniche.

Si prosegue con l’incedere intorpidito di Jerry, costituito da pulsazioni ovattate e suoni rarefatti che sgocciolano psichedelica torbida e visionaria. L’atmosfera è da trance, avvolta da una fitta nebbia nel buio, in perfetto stile lynchiano. Un basso claustrofobico guida Lattanzi, con campionamenti opprimenti di voci, in un crescendo di tensione ed inquietudine, lasciando l’ascoltatore smarrito in preda ad attacchi di panico.

Il secondo intermezzo del disco è Crycup, scorcio di un incubo dai rumori sinistri. Polfer, che si ispira ai Melvins, è il meno convincente dell’album per il suo essere (per così dire) normale rispetto agli altri brani.

L’ultimo intermezzo si chiama Where Is The Sonny?, quasi sereno ed arioso rispetto a tutto quello che si è ascoltato precedentemente. L’allucinazione finale si chiama Super Drug Busted, aperto da un lugubre sottofondo con suoni lontani e sconnessi: è un viaggio sotto acido finito male. Qui la visionarietà del gruppo è al massimo, così come il livello compositivo. L’ambiente creato si muove tra il surreale e il sognante, l’acido e il dilatato.

In Trance44 gli Appaloosa approfondiscono due aspetti, quello psichedelico e quello onirico, affrontandoli prima in separata sede e poi facendoli convivere, come spesso avviene nella tormentata mente umana. Tra visioni da incubo e viaggi lisergici, il disco non subisce mai cali qualitativi (tranne Polfer, punto di rottura dell’album), La forma è comunque quella di un grande trip che parte con i migliori auspici e visioni oniriche per poi piombare in un vortice malato, fatto di suggestioni oscure ed ansiogene, percorrendo i sentieri più opprimenti della nostra psiche.

P.S.: il CD esce il 15 gennaio.

 

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