Surfing Machos: History Files Vol. I / The Theatre of Mejerhol’d and Majakovskij

Alzi la mano chi pensa che noise e cultura russa non abbiano niente in comune. Pronti a ricredervi?

Surfing Machos

History Files Vol. I / The Theatre of Mejerhol’d and Majakovskij

(Cd, Geoduck & Koala Records)

noise, elettronica

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surfing_coverCi vuole fegato per mettere insieme due elementi apparentemente così distanti tra loro: musica noise e teatro russo. Ancora di più per lanciarsi alla ricerca di un connubio tra glitch e suite classiche, in modo da non far sembrare tale incontro azzardato o stridente. Ma qualcuno c’è riuscito: questo qualcuno sono i Surfing Machos. Il nome probabilmente non dirà niente a nessuno, ma i componenti di questo duo sono facce note, almeno alla musica indie: sto parlando di Alessio G. Budetta (Orange/Snowdonia Rec.) e d.m. (Eveline). Da questa mission (quasi) impossible è nato History Files Vol.I / The Theatre of Mejerhol’d and Majakovskij.

Un progetto davvero epico, ho pensato leggendo il press sheet di questo gruppo; ma ascoltando le 10 tracce di quello che è solo il primo di una serie di lavori basati sullo stesso approccio metodologico (ed il titolo lo lascia intendere), ho capito come invece potesse essere molto semplice. I Surfing Machos hanno preso estratti dalle opere di A. Blok e V. Majakovski’j e li hanno fatti declamare dalla voce di Natalia Teplysheva, lasciandoli ovviamente in lingua originale. Ma non è questa la loro peculiarità: hanno soprattutto cercato di dare corpo ai versi recitati, per creare un legame tra musica e letteratura, teatro e cultura del secolo scorso.

La musica è il veicolo per mezzo del quale i Surfing Machos riescono realmente a calarci in un’epoca e in una terra lontana anni luce dal nostro mondo cybernetico. Il piano che sostiene il discorso di Vladimir Ilych in A love in Ul’janovsk ha quasi echi Pink Floydiani, ed è capace di cullarci tra le braccia di un’ansia palpabile espressa dai singhiozzi di una voce femminile. Ancora il piano trasporta i rumori del vento in Hedda Gabler’s theme per lasciare improvvisamente posto a suoni distorti, come un romanzo o una pièce teatrale che raggiunge il suo climax. Questo variare improvvisamente i ritmi di un brano, lasciando l’ascoltatore spesso attonito davanti a quelle che potrebbero sembrare dissonanze, è una caratteristica che ho molto amato proprio negli Eveline, band di appartenenze di d.m.

Dove il piano sostiene le emozioni, le chitarre ed i rumori, più stridenti e meccanici, sembrano creare volontariamente una barriera tra l’ascoltatore e la scena che, come sul palco di un teatro, sta avendo luogo all’interno del brano. Questa distinzione tra generi, più netta nei primi pezzi, tende a fondersi a partire da Balagancik in avanti, dove tutti gli strumenti intervengono gli uni a sostegno degli altri, gli uni a prevaricare gli altri: le chitarre corrompono il piano, la voce muta a seconda delle esigenze.

Più che un album, quest’opera prima dei Surfing Machos sembra un’opera letteraria, di cui per ovvi motivi linguistici non si capisce la trama, ma dalla quale non puoi far altro che lasciarti rapire, affascinato dalla musica, dal suo evolvere, dalla sua continua trasformazione. Questo progetto merita un ascolto anche solo per l’intento di mettere insieme due mondi apparentemente così diversi. Ma merita un ascolto soprattutto perché ha le carte in regola per essere apprezzato anche dalla frangia più melodica di fruitori musicali.

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