Smashing Pumpkins: Zeitgeist

La sigla Smashing Pumpkins riaffiora dagli abissi bui nella quale era ormai stata abbandonata da anni. Così, Corgan e soci si rituffano nelle acque torbide di un rock nuovamente dolente, ma incredibilmente anche vitale. Sarà un flop o la rivincita di Billy?

Smashing Pumpkins

Zeitgeist

(Cd, Martha’s Music/Reprise, 2007)

rock


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Dove eravamo rimasti? Ah sì…A The Future Embrace, il disco solista, riuscito a metà, di un Billy Corgan ancora in cerca di una nuova, stabile identità.
Insieme al batterista Jimmy Chamberlin, ultimo superstite della vecchia band, Billy ha dunque deciso di rimettere in piedi gli Smashing Pumpkins, arruolando due musicisti non famosissimi come Jeff Schroeder (alla chitarra) e Ginger Reyes (ovviamente un’altra amazzone del basso), che sostituiscono James Iha e Melissa Auf Der Maur (che a sua volta aveva sostituito la bassista storica D’Arcy Wretzky).

Quella di Zeitgeist è una musica rock volutamente melodrammatica, apocalittica, decadente, riflesso del buco nella mente di Corgan e dello sfacelo in cui sta andando incontro il Mondo, per come lo sta vivendo lui. Titoli alquanto eloquenti e chiarificatori come Doomsday Clock, United States, For God And Country fanno intendere che Billy abbia voluto riferirsi, come tantissimi altri artisti rock negli ultimi anni, alla situazione politica mondiale e in particolare americana (D’altronde la copertina dell’album consiste in una illustrazione stilizzata raffigurante la Statua della Libertà che emerge – o sprofonda? – da una distesa d’acqua, colorata di rosso e nero). La prima canzone nominata si presenta con fraseggi graffianti e il cantato un po’ indolente: è un tipico esempio dell’hard rock emotivo e fragile (nonostante sia questo un pezzo molto tirato) di cui erano e sono capaci i Pumpkins, che dosano in ugual misura oscura sensualità ed energia. Il testo si riferisce all’uomo costretto a vivere in uno stato mentale di paura e minaccia costanti, in questa epoca di politica votata alla guerra e di terrorismo.

La batteria di Chamberlin attraversa come un mezzo rostrato in corsa la sopraccitata United States, suite di quasi dieci minuti pervasa da turbini elettrici che riempiono tutto lo spettro sonoro, in una galoppata energica e altresì scura, che sfocia per qualche istante in un strambo break lisergico infestato da corde che ululano, stridono e guaiscono. Gli inopportuni na-na-na (o la-la-la che siano) di Corgan che accompagna se stesso sortiscono un effetto ridicolo.

Invece For God And Country fa un bel bagnetto nei sintetizzatori, mentre le chitarre rimangono più sotto, per un’atmosfera vagamente gotica e ottantiana.

Torniamo indietro: la seconda traccia, l’anthemica 7 Shades Of Black, viene proposta sulla falsariga di Doomsday Clock, ma è possibilmente ancora più selvaggia e sfrontata. La migliore canzone del lotto è però sicuramente la dolente Bleeding The Orchid. Come si può definire il genere entro cui si classifica il pezzo? Grunge post-atomico? Hard rock psicologico? Gothic rock heavy-oriented? Chissenefrega. I vocalizzi lamentosi seguono Corgan come una processione funebre, mentre lui, totalmente abbandonatosi all’abbraccio goticheggiante del brano, finalmente canta con reale convinzione e al contempo con sofferenza e tristezza inarrivabili.

Carina la poppeggiante That’s The Way (My Love Is), che piega la rabbia delle Zucche ad una sorta di sentimentalismo vicino sia a quello di certo indie rock che a quello curesco: sarà anche un po’ stucchevole, ma la song è ben accolta dalle nostre orecchie.

Dopo Tarantula, in cui Billy mostra ancora il suo ghigno vampiresco (o smorfia di dolore?), e Starz, che tenta di replicarne la potenza però controllandola maggiormente fino a soffocarla, si viene attratti dai rintocchi di xilofono di Neverlost, brano intimistico alleggerito finalmente dalle pesanti vesti elettriche degli altri pezzi, ammantato da cori distanti e arricchito da sottili sottostrati di tastiera. Bring The Light e (Come On) Let’s Go sono altri due pezzi abbastanza ordinari per gli Smashing Pumpkins, dato qui la loro estetica è riproposta con un certo innegabile manierismo.

E per finire, Pomp And Circumstances è un patetico gospel-pop “disneyano” che sorprende l’ascoltatore, che si era assuefatto all’headbanging indotto da certi pezzi oppure si era abituato al malessere dei brani più tristi.

Possiamo comunque tirare un sospiro di sollievo: Zeitgeist, pur deludendoci in parte, rimane un discreto album.

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Luca Morello
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