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Senura: recensione disco omonimo

Debutto per i livornesi Senura che dopo quasi dieci anni di attività ripartono da zero e pubblicano un album aggressivo e potente

Senura

s/t

(Furious Party)

alternative rock

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senuraTempo fa dicevo che la Toscana si sta dando da fare con le sonorità pesanti ed ecco che dalle parti di Livorno arriva un’altra band che non le manda a dire in quanto a metallo percosso. Oltretutto i Senura cantano parabole soniche in italiano con quel misto che va tra Tool e Verdena che si avverte lungo i dieci brani di questo loro primo lavoro omonimo.

La band nasce come Senura nel 2016, ma in verità i membri fondatori è da 15 anni che fanno musica insieme, tanto da arrivare a un passo dalla vittoria a Sanremo Rock nel 2007 quando si facevano chiamare Noiset. Succede poi che tra cambi di formazione ed esperienze in altri progetti la band si ferma, fino a ricominciare da zero cambiando nome ispirandosi ad un personaggio del celebre film brasiliano City Of God.

Questo album non è scevro da una certa inquietudine post-rock, con melodie dure, irruenti, zeppe di ispirazione. Si sente come band quali i Deftones abbiano tracciato un solco profondo in questi quattro musicisti, che non usano l’elettronica immergendosi completamente in brani potenti, ben ritmati, con una voce molto chiara che finalmente non viene soffocata dagli strumenti.

Il lavoro è ben fatto e sebbene aderisca a quel movimento post grunge sul finire degli anni 90 “Senura” suona piuttosto contemporaneo, offrendo un disco molto interessante che piazza una serie di riff aggresivi utilizzando un linguaggio tagliente. Aggiungiamo il fatto che la band appartiene alla scuderia di Furios Party, e quindi non possiamo non accostarli un briciolino ai Fluxus pensando alla rudezza e distorsione dei componimenti. Non so indicare un brano capolavoro tra i pezzi ascoltati, ma devo puntare l’attenzione su Idoatrya, canzone che mescola tinte trash a zapping funky hardcore.

L’album non scodella solo brani tiratissimi e scontrosi, ma esistono evoluzioni armoniche che si alternano iniziando con un’arpeggiata Mentre La Sabbia Avanza e che qua e là troviamo all’interno delle loro canzoni. Ecco, è un album ricco di suoni, idee, arrangiamenti, ma se i brani fossero durati un po’ di più con uteriori variazioni, quache solo, una bella “ballad”, avrebbe funzionato alla grande. Detto questo, un decennio è tanto per aspettare un disco e ne valeva la pena. Ma devono continuare a spingere.

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Luca Paisiello
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