Paolo Rigotto: Corpi Celesti

Ironico, sardonico, cinico (quanto basta), ma soprattutto bravo! Ecco il debutto discografico di Paolo Rigotto

Paolo Rigotto

Corpi Celesti

(Cd, Solista Musica)

progressive, pop

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Paolo Rigotto- Corpi CelestiE’ davvero raro imbattersi oggigiorno in musicisti tanto sinceri quanto autentici come Paolo Rigotto, che con questo suo primo tentativo discografico dal titolo Corpi celesti ci comunica una sintesi personale e originale di tutto ciò che fino ad oggi lo ha contaminato, influenzato e segnato.

Elettronica, pop, rock, reggae, un pizzico di rock prog ed ecco che cominciamo ad avere le coordinate principali di questo lavoro abbastanza innovativo ma soprattutto sincero. Ed è fin dal primo brano, Cronofilia, che capiamo quanto l’elettronica ricopra nell’immaginario di questo nuovo autore un ruolo di primaria importanza. E’ la musica elettronica infatti il primo vero approccio, intorno ai dodici anni, di Paolo Rigotto col mondo della musica. E questo brano presenta dei timbri elettronici aggressivi, violenti, adatti ad un testo che denuncia la presenza ossessiva del tempo in ogni azione umana.

Andando ora oltre, al quarto posto in scaletta troviamo il brano Madama Dorè, brano che denuncia nel testo tutta la prostituzione alla quale è oramai soggetta l’immagine della donna e della femminilità in generale nel nostro bel paese (ironico!). Il brano si apre con un inciso tematico (o riff che dir si voglia) alla chitarra elettrica che si muove tra il V e il I grado della tonalità di Re m, transitando attraverso il VI e il VII grado abbassati. Già questo inciso rende ottimamente idea del sudiciume che oggigiorno siamo oramai abituati a vivere quotidianamente, assuefatti agli scandali e in cerca di sempre nuovi tormentoni “bunga-bungatici”. Ma andando oltre e giungendo al ritornello, è proprio qui che troviamo l’ espediente musicale che più d’ogni altro rende in musica lo straniamento e l’assurdità narrati nel testo cantato. Le parole “Che sensazione magica mi dà sentirmi un poco zoccola” vengono opportunamente cantate stonate dal Rigotto, che in tal modo ottiene un eccezionale effetto di aderenza musica-testo, proprio attraverso un fraseggio melodico (questo del canto) che è specchio dell’assurdità narrata nella parte letteraria.

E’ poi col brano n.5 in scaletta, Il Capo, che Rigotto da prova della sapienza ritmica che gli deriva dalla lunga esperienza di batterista. Il brano è interamente giocato (tranne che nel ritornello, poggiato su un semplice 4/4) su ritmiche composte e metrica asimmetrica, tanto da rendere arduo il semplice conteggio delle battute. E’ il testo poi a denunciare una doppia chiave di lettura: una prima, più superficiale, di denuncia alla gerarchizzazione alla quale è soggetto tutto il mondo lavorativo, per il quale esiste sempre un capo da rispettare e in alcuni casi anche da idolatrare; una seconda, che va oltre le apparenze e ci rende possibile comprendere quanto figure di questo tipo siano in fin dei conti essenziali ad un’economia sociale fatta di individui (la maggior parte) privi di una reale opinione personale e di spirito critico, che necessitano dunque qualcuno che pensi al posto loro.

Ma eccoci giunti al manifesto elettronico di questo album, il brano Scheda Madre che, partendo da un pattern di sonorità “segnaletiche” ricavate dalla piattaforma windows, sviluppa un substrato musicale spesse volte (come succede ad esempio a 2’48” con la breve melodia affidata ad un timbro elettronico che si muove tra le note Mib-Sib-Do-La) sembra derivare direttamente dalle sonorità “informatiche” che stanno alla base dell’intero brano.

Infine troviamo il brano La fine del mondo, che si apre su una marcetta tanto felice quanto esplicitamente cinica e irrisoria, come possiamo desumere dal testo che recita: “Siamo giunti alla fine del mondo, era tempo di riposarlo un pò, non abbiamo paura come forza sicura aspettiamo credenti il Salvator!”. E’ questo il brano veramente progressive del disco. Qui, a 0’40”, si apre tutta una sezione basata sul tempo dispari del 7/8 (tempo tipico del rock progressivo insieme al 5/4), una sezione apertamente demoniaca (gioca un ruolo importante in questo senso il sintetizzatore che intona lunghe note tenute in registro acuto e che si muovono cromaticamente sulle note Si-Sib-La), profondamente antitetica con la precedente marcetta felice e piena di (finta) speranza. E’ questo l’unico brano dalla lunga durata dell’intero disco, con un minutaggio di 10’35” contro la media dei 3’40” dei restanti nove precedenti brani.

Lo spazio di una recensione non rende di per se giustizia ad un disco così valido e nel complesso molto sincero nonché innovativo quanto basta. Mi resta solo da segnalare la vicinanza, la parentela che viaggia tra autori come Rigotto e altri come Iosonouncane, che portano nell’ambito della musica (cosiddetta) leggera una forte dose di sperimentazione e tanta tanta voglia di ricerca vera.

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