Morso
Lo Zen e l’Arte del Rigetto
(Dischi Bervisti)
hardcore
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Quando ti imbatti in dischi di gruppi hardcore come quelli dei Morso, sai bene cosa ti aspetti. Testi al vetriolo, canzoni velocissime e rabbia allo stato puro, in cui le chitarre vanno spedite come un Frecciarossa insieme a tutto il resto della band.
Non è un caso che Lo Zen e l’Arte del rigetto abbiano davvero poco di calmo e sereno, nonostante la prima parte del titolo faccia pensare a qualcosa di riflessivo.
Qui ci si addentra in territori tanto cari alla scena americana di fine anni ottanta e primi anni novanta in cui gente come Downset e Biohazard facevano incetta di proseliti, con testi pieni di rabbia, al limite della sovversione e della guerriglia urbana.
I Morso, pur non avendo quell’atteggiamento scenico da gangster della quinta strada, sanno come fare questo lavoro. Brani cortissimi, violentissimi e cantato urlato e gridato come non mai.
Il problema serio è che tutto suona simile negli undici brani che circoscrivono questo lavoro. C’è poco spazio per l’immaginazione.
L’opener Liberaci dal male è un pugno scagliato in piena faccia. E’ un brano di appena un minuto e quaranta secondi urlato e suonato a velocità supersonica. Nessuno e centomila è una macchina impazzita, così come Sempre meglio di niente che, a differenza di altre canzoni, ha anche qualche squarcio melodico al suo interno.
Il cd, che dura meno di Reign in Blood degli Slayer (nessun paragone è mai possibile tra questi due gruppi), può essere sintetizzato con un solo aggettivo: violento. Con un’aggiunta importante: piatto.
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