Hogs: Fingerprints

Gli Hogs tornano con un loro nuovo album intitolato Fingerprints, dai suoni dinamici e tempi sbilenchi e con sprazzi di funky.

Hogs

Fingerprints

(Red Cat Records)

hard rock, rock

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A due anni di distanza dal loro primo disco Hogs In Fishnets, gli Hogs tornano con un loro nuovo progetto musicale intitolato Fingerprints.

Il disco nasce dall’idea che la band ha del rock’n roll; divertimento genuino ed energia cosmica, una marcia in più che porta Fingerprints a sonorità hard rock più pure, con un progetto solido dalle influenze prog e funk.

Non facilmente etichettabili in un genere ben definito, gli Hogs possono essere considerati una rock band anni settanta, con il cantante molto freak Simone Cei, figlio illegittimo dei sui tempi, che rafforza e guida melodicamente una band saggiamente pronta per suonare del sano rock.

Il disco ha una struttura agile e snella, ma senza mancare di vezzi e spunti creativi, con l’ascolto piacevole di undici brani scritti interamente in inglese. Un album dinamico come dimostrano i momenti sbilenchi dei brani, con sprazzi di raro funky, sguardi ammiccanti all’alternative rock e un pizzico di classic-pop statunitense stile anni novanta.

Nell’album Fingerprints, i brani Don’t Stop Moving e Another Dawn e Man Size sono semplici ed efficaci, un rock diretto dal sound docile ma di grande effetto, grazie ad arrangiamenti molto curati con le diverse correnti e influssi di matrice più alternative. Fingerprints, brano dal titolo omonimo al disco, mostra un certo estro sia sul piano strumentale sia per i testi che scoprono il lato artistico e più profondo della band.

In Down to the River si percepisce un tocco raffinato, un reggae soffuso e avvolgente, mentre, diametralmente opposto è Stinking Like A Dog, un brano di puro rock in stile Hogs. Jewish Vagabond è considerata la canzone più elaborata dell’album con toni, atmosfera e assoli folk-rock anni settanta, nonostante Just for One Day reclami anch’essa una certa considerazione ma in chiave ballad.

Divertente e spumeggiante è Man Of The Scores, all’interno della quale il rock prende carattere sin da subito per offrire una ritmica allegra e spassionata.

Gli Hogs sono una band che tra le sue fila accoglie musicisti di un certo spessore come il chitarrista Francesco Bottai (turnista per Irene Grandi e gli storici Articolo 31), il batterista Pino Gulli (Dharma, Anhima) e il bassista Luca Cantasano, (dal 2010 nei Diaframma), a cui si aggiunge il giovane cantante Simone Cei che si dimostra immediatamente un talento con spiccate capacità di arrangiamento lirico e melodico.

Insomma, un buon disco. I brani non spiccano l’uno sull’altro, gli strumenti sono al loro posto, i livelli del volume mai sopra le righe, tutto è equilibrato e sobrio in Fingerprints. I richiami prog misti al rock’n’roll sono una prerogativa della band stessa ma la voce del cantante, nonostante abbia un proprio stile personale pulito e sobrio, risulta essere troppo delicata e poco esaltante rispetto al genere suonato dagli Hogs, al di là del fatto che nel complesso tutto è ben miscelato ottenendo così un proprio stampo artistico.

Fingerprints è un disco dal sound che oscilla con stile tra gli anni settanta e novanta, caratterizzato da brani con ritornelli che entrano in testa al primo passaggio, e a seguire le linee di un basso che comanda le operazioni e ordina alla chitarra di esaltarci con riff di scuola settantiana.

Il quartetto ha scelto un genere non proprio commerciale, la strada da percorrere è ancora lunga, ma la voglia di dire la loro non manca. Bisogna dar tempo agli Hogs di mettersi in gioco e produrre album di maggiore maturità creativa.

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