Gazpacho: March Of Ghosts

Non fatevi ingannare dal nome: il sestetto prog di Oslo regala magia e sentimento, raccontando storie di un universo senza tempo

Gazpacho

March Of Ghosts

(CD, KScope)

progressive, post-rock, art rock

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Spesso le apparenze ingannano: un gruppo che porta il nome della famosa zuppa fredda iberica, con in più una copertina così inquietante, non può che contenere un disco mediocre. E invece no. I norvegesi Gazpacho, formatisi a Oslo nel 1996, con questo settimo disco intitolato March Of Ghosts (il secondo per Kscope), confezionano un buon lavoro, risultato piuttosto difficile da ottenere oggi in generi come il progressive o il post-rock (alla Marillion, Anathema, Porcupine Tree o Kent).

Rispetto al precedente concept album Missa Atropos, che raccontava un’unica lunga storia di un uomo che si lasciava tutto alle spalle per ricominciare da zero, questo March Of Ghosts somiglia più a una raccolta di storie brevi, come spiega il cantante Jan-Henrik: “Sono storie brevi, si tratta di una marcia di fantasmi, sono storie che hanno bisogno di essere raccontate. L’idea di fondo era quella di far trascorrere al protagonista un’intera notte con i fantasmi che, in marcia, gli raccontano le loro storie”. Criminali di guerra haitiani, l’equipaggio della Mary Celeste, un soldato americano di ritorno dalla prima guerra mondiale e il fantasma di un commediografo inglese ingiustamente accusato di tradimento…

Un disco dall’incedere lento e compassato, con strumenti, voci e melodie malinconiche che riescono a formare un alone di magico, qualcosa che ricorda proprio un romanzo d’avventura ambientato nelle terre scandinave. Cercando di essere originali, o comunque creativi e sperimentali. Jon-Arne racconta la genesi del disco: “Il tour precedente ci ha dato un sacco di ispirazione: così, la settimana dopo siamo andati dritti in studio e abbiamo scritto la maggior parte dell’album in un solo giorno, è stato sorprendentemente facile”; è proprio da questa jam session originale che deriva il materiale contenuto in March Of Ghosts.

La tetralogia Hell Freezes Over (le prime due parti I e II aprono il disco, la terza III intorno alla metà, la quarta IV come ultima traccia) avrebbe fatto sicuramente la loro fortuna se fosse stata registrata come EP, regala magia e sentimento, come se ci trovassimo davvero in un passato fiabesco: gli altri brani contenuti nel disco non riescono ad essere dello stesso livello. Emozionano i violini e il piano di Black Lily, Gold Star è molto folk e celtica, Mary Celeste vede un’irruzione di soprendenti flauti medievali; si entra in una dimensione senza tempo in What Did I Do?, che avvolge con i suoi cori; Golem si scatena ed esplode fragorosa dopo un inizio molto sussurrato; noiosa The Dumb Hell, che non impatta.

Ricordano gli ultimi Nosound, mantengono anche richiami a Radiohead, Riverside e Muse, rivelando un approccio compositivo molto maturo. March Of Ghosts regalerà ai Gazpacho un’audience non soltanto confinata al progressive, aprendosi così al mainstream: il sestetto norvegese dimostra infatti di avere espanso il proprio sound da paesaggi sonori rumorosi a una vera e propria atmosfera eterea, con un’impronta molto più diretta verso il nu-prog.

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