David Sylvian
Died in the Wool
(2 Cd, Samadhisound)
avantgarde
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Died in the Wool, l’ultimo doppio Cd di David Sylvian, avrebbe in realtà anche un sottotitolo: Manafon Variations.
In realtà, però, Died in the Wool non affatto un remix o un diverso arrangiamento di Manafon. Lo è solo in parte. Su dodici brani in scaletta solo cinque vengono ripresi dal precedente lavoro dell’ex Japan, mentre sette brani sono nuovi di zecca.
E anche quelli già presenti su Manafon sono al limite del riconoscibile. Complici Dai Fujikura (arrangiamenti sinfonici e drone), Arve Henriksen (campionamenti), Ståle Storløkken (tastiere) e l’austriaco manipolatore chitarristico-digitale Christian Fennesz, David Sylvian ha tirato fuori l’anima rimasta sepolta dalla precedente versione di Manafon, ma soprattutto ci presenta sei brani nuovi di zecca che sono dei veri e propri gioelli che ci (ri)danno il “nostro” in grandissima forma, dopo gli straniamenti e le dissonanze non digeribili di Blemish.
Discorso a parte meritano i diciotto minuti di When We Return You Won’t Recognise Us, scritta e proposta nel 2009 in una installazione alla Biennale delle Canarie, recuperata su disco in questa occasione e imperdibile. Una lunga suite solo apparentemente ambientale, che ascoltata distrattamente aiuta a produrre un contesto, ma goduta in cuffia, donandogli tutta l’attenzione che merita, acquista/conquista un senso nuovo e spettacolare. Tutto l’album, d’altro canto, vi suggerisco di ascoltarlo in cuffia con la calma e la concentrazione che si riservano solo ai riti più sacri: ne varrà la pena.
Mai come in Died Wool, forse, Sylvian usa la voce come un vero e proprio strumento, scevro dal significato dei testi, anche se pure sempre interessanti (su tutte Random Act of Sensless Violence). Certo, non siamo ai livelli da capolavoro delle sue prime prove soliste, ma Died in the Wool è comunque una prova superba che, oltretutto, con conferma come la voglia di sperimentare di Davis Sylvian è ben lungi dal sopirsi.
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