Black Inside
A Possession Story
(Red Cat Records)
metal, prog rock
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Reduci dal buon andamento dell’album di debutto The Weigher of Souls, i napoletani Black Inside sono attivi da un quinquennio e oggi raddoppiano con questo A Possession Story, disco dalle forti influenze Doom e Prog Rock. Del resto si erano ritrovati in origine a fare cover dei Black Sabbath, pertanto non stupitevi se i 10 pezzi di questo nuovo lavoro raccolgono l’eredità dei grandi gruppi della scena metal del passato, come se Tony Iommi avesse deciso di collaborare con gli Iron Maiden.
Se Man is a Wolf to Men mescola le carte tra i Metallica e i Motorhead degli esordi, le oscurità rocciose di The Siege of Jerusalem riportano alle grandi cavalcate epic e power metal degli anni 80 che da ragazzini ascoltavamo gloriosi quando affrontavamo con i righelli nel fodero quei mostri a due teste dei nostri professori, dolci e pedofili con le candide fanciulle, feroci e invidiosi con noi maschietti arroganti. Questo brano celebra l’epica sonora di quegli anni e nella parte centrale che si attenua, con un’arpeggio incantato, per poi ripartire a tutta birra con assoli cavallereschi.
Ad essere sinceri chi è stato martellato in quell’epoca da quella musica, o l’ha assorbita da qualche fratello maggiore, non può intravedere ora chissà quale persuasiva originalità, ma certamente si manifesta nei Black Inside una forte personalità nei brani di questo album, che possono ricordare l’età dell’oro del metal di cui Pino Scotto potrebbe andarne fiero: non si tratta solo di 4 riff in croce, ma robuste lezioni di metal a raso che gli axeman Brian Russo e Eduardo Iannaccone battono come un’operaio battilastra moderatamente incazzato.
I’m not Like You si fa più hard rock come l’ultimo corso dei Tesla, ma la sostanza non cambia anche se troviamo innesti ben più melodici in King of The Moon, per esempio. La title track riassume i canoni metallari del disco, segue l’acustica Forsaking Song e si arriva al fondo con i lunghi 8 minuti della conturbante Jeffrey prima della carica di Pharmassacre, chiudendo un disco che ricalca in tutto e per tutto i 70/80 del metal primigeno che sembra uscito dalle fonderie di Belzebù.
Mettete anche che la registrazione è avvenuta ai New Reel Studio di Bagnoli e le sonorità non risentono della digitalizzazione di questi giorni, mantenendo fedelmente corposo il sound come 40 anni fa, tanto da far venire il dubbio che magari ci troviamo di fronte a vecchi nastri cantati da un ispiratissimo Luigi Martino. Il sound analogico di quest’album dà il suo meglio nell’edizione in vinile, per i (nuovi e vecchi) LP-maniaci.
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