Anathema: Falling Deeper

Gli inglesi Anathema ritornano al passato, stravolgendolo, con il nuovo Falling Deeper e la collaborazione di un'orchestra

Anathema

Falling Deeper

(Cd, Kscope)

classica, ambient, rock

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Anathema: Falling DeeperFalling Deeper segna una nuova svolta nel percorso eterogeneo degli inglesi Anathema, che qui si allontanano in modo deciso dagli stilemi tipici della rock band che avevano consolidato nel corso degli anni. Qui la band si confronta di nuovo con il proprio passato (lo avevano già fatto pochi anni fa con Hindsight) ma in modo del tutto inaspettato, quasi a voler esorcizzare i loro esordi doom metal che li avevano messi in una casella diventata molto presto troppo stretta per loro.

I pezzi proposti in Falling Deeper vengono dai loro primi due EP e dagli album Serenades e The Silent Enigma, ma che non ci si lasci ingannare: il ritorno alle origini è solo ed esclusivamente sulla carta. Infatti si esplorano qui territori prima osservati solo da lontano, dal momento che la materia dell’album è sostanzialmente musica classica, punteggiata qua e là di chitarre e tracce di ambient. I brani, con l’approccio del chimico attento, sono disidratati e poi nutriti con linfa nuova, che li rende attuali, irriconoscibili; la loro struttura diventa un semplice canovaccio da riempire di suggestioni nuove.

Falling Deeper è un album leggero, concentrato, che dilata o comprime lo spazio agevolmente, come si fa con una fisarmonica, dalla diretta apertura con Crestfallen, tutto giocato su pianoforte, chitarra e la voce usata come se fosse un effetto sonoro, il sound corposo di Sleep In Sanity o la cupa marcia nella nebbia che diventa Kingdom. They Die è triste, di una tristezza dolce che si muove in ondate ampie, urgenti, con l’orchestra che si gonfia e la segue.

Gradevoli anche i giochi di pieni e vuoti nel più lungo Alone e la pace eterea, che non nasconde però le sue crepe, in We, The Gods, che ha un effetto curioso, di giustapposizioni che volutamente cozzano tra loro, a tratti delicato e luminoso, a tratti più goffo e drammatico. Molto dolci Everwake (con la voce pulita e cristallina di Anneke van Giersbergen) e l’intenso J’ai Fait Une Promesse. Sunset Of Age è forse la traduzione più trasparente nell’album e a tratti gli stralci più aggressivi e le chitarre prepotenti sono quasi troppo.

Ancora una volta, dunque, per gli Anathema un album particolare, adatto ad ascoltatori onnivori, in questo caso difficile da rendere live. E se il tornare sull’antologico dopo appena tre anni di distanza da un’antologia acustica può far storcere il naso, è anche vero che quello che si ascolta qui è ben lontano dal fare cover di se stessi ma è segno di un desiderio di sperimentazione che non si fa problemi di etichetta (in più di un senso).

La band negli scorsi mesi ha suonato in date sparse un po’ ovunque, e pare continuerà su questa linea anche in autunno, mentre si legge sul loro sito del congedo del tastierista Les Smith, con la band dal 2000.

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Miranda Saccaro
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