Queens Of The Stone Age: recensione di In Times New Roman…

Sono dovuti trascorrere ben sei anni per poter ritrovare nuovamente attivi i Queens Of The Stone Age. Ne è valsa la pena?

Queens Of The Stone Age

In Times New Roman…

(Matador)

rock, alternative

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Sono dovuti trascorrere ben sei anni per poter ritrovare nuovamente attivi i Queens Of The Stone Age, tra gli ultimi capisaldi di quel rock mainstream e da stadio che tanto piace alla gente e che inorridisce parecchio i cultori del nuovo che avanza.

In questi sei anni ne sono successe di cose nel dorato mondo di Josh Homme. Tra problemi di ogni tipo, non ultimo un tumore che gli è stato diagnosticato, pandemia e altre brutte cose, il leader maximo ha sempre guardato alla sua band con la speranza di poter ritornare sulla scena e alla fine gli sforzi sono stati premiati.

In Times New Roman... è un classico disco recente delle “regine”, con molte sperimentazioni e un’ispirazione che, purtroppo, risulta ondulante e poco presente per l’intera durata del lavoro.

Ci sono canzoni che lasciano il segno e sono legatissime al vecchio corso del gruppo, come la malinconica Carnavoyeur, e le toste e melodiche Negative Space e Obscenery che si faranno apprezzare anche in sede live.

Il problema è che il disco risulta zoppicante, soprattutto quando ci si imbatte in pezzi anonimi che sarebbero state delle b-sides di poco conto a cavallo dei due secoli.

Paper Machete e Time & Place non hanno la caratura che uno si aspetta quando a scrivere la musica è un tipo come Josh Homme. Le chitarre sono sempre calde e proiettate verso un passato che ha reso celebri formazioni tipo i Rival Sons e What The Peephole Say è un esempio che calza a pennello con quanto descritto.

La formazione di cui si circonda l’ex Kyuss è ben collaudata e non appare scollata, nonostante l’album sia una specie di saliscendi dove si alternano momenti di ottima ispirazione (Straight Jacket Fitting ed Emotion Sickness) ad altri che ti fanno essere indifferenti (Sicily).

Alla fine dei conti, questo ritorno lascia, probabilmente, l’amaro in bocca.

A spunti notevoli, fanno da contrasto episodi molto sottotono che, per forza di cose, non possono che far abbassare il voto ad un disco che non è ispirato al 100%. Siamo, ormai, nel campo molto delineato del “quel che doveva essere fatto in passato, è stato fatto e non abbiamo nulla da dover dimostrare. Dunque facciamo quello che ci pare”. Concetto giusto, ma fino ad un certo punto. Resta, a nostro avviso, un senso di amarezza che ci porterà sicuramente a (ri)ascoltare le loro vecchie produzioni che, fortunatamente, reggono ancora al logorio del tempo.

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Francesco Brunale
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