Neventies: recensione album omonimo

Con l'album d'esordio omonimo, sulla scia di una retrospettiva ascrivibile ai grandi classici del rock anglofono, i milanesi Neventies si rifugiano nella malinconia del passato per combattere il logorio della vita moderna.

Neventies

s/t

rock n’ roll, blues n’ roll, southern, hard rock, power ballad, dance rock, rhythm and blues

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Assemblando una line-up vecchio stampo composta da due chitarre, basso e batteria, e forte di un impasto vocale grezzo e suadente, la rock band milanese Neventies manda alle stampe, sotto autoproduzione, il suo album d’esordio omonimo, anticipato dall’uscita del singolo Come On Down e registrato al Chameleon Studios di Amburgo assieme al noto produttore Eike Freese (Deep Purple, Alice Cooper, Stewart Copeland).

Sulla scia di una retrospettiva calligrafica ascrivibile ai grandi classici del rock anglofono, quando nella livida venatura blues dei Rolling Stones ed Hank Williams, quando scavando nel ventre southern dei Lynyrd Skynyrd, quando sfiorando la west coast doorsiana di L.A. Woman, quando nei riff graffianti alla AC/DC, quando nel boogie-groove più contemporaneo di Franz Ferdinand e The Black Keys – il quartetto meneghino – progetto nato nel 2019 dal sodalizio artistico tra lo svedese Lars Cullin (chitarra e voce) e gli italiani Michelangelo Zampolli (chitarra e voce), Luigi Castrovilli (basso) e Marco Ronconi (batteria) – confeziona una tracklist che punta ad esaltare la componente ludica del rock, andando controcorrente rispetto all’attuale trend del mercato musicale e rivelando uno spirito di appartenenza con la storia di un genere che ormai da tempo non fa più proselitismo mainstream.

Un’impronta strumentale che si riassume in un sentimento revivalistico orientato a surriscaldare sensi e menischi di quei rockettari più nostalgici che hanno ampiamente superato gli “anta”, alternando episodi più sanguigni (Fuck Off, Go To L.A., Rock N Rolla, Love To Me, Eating Pills, Out Of Control) a declinazioni ritmiche più cadenzate e affusolate, come in Come On Down, I’m The One, Mr. Have You Seen Your Miss? e You Might Say.

Con questa carica motivazionale, che lascia presagire una resa di maggior impatto nella sua trasposizione live, i Neventies provano a distillare emozioni e stati d’animo all’interno dei dieci brani della release, rievocando il mito di una Los Angeles dissoluta e tentacolare in cui è consentito sballarsi tutte le notti (come cantavano i KISS), e doveroso perdere anima e controllo (“I go to LA gonna rock n roll, I don’t even care if I lose my soul, I go to LA gonna lose my mind”).

La costruzione tematica – affidata a una selezione testuale fin troppo stereotipata nei suoi cliché – racconta storie di vite tormentate, in precario equilibrio tra disfatta e redenzione, tra sofferenza e resistenza, quotidianamente in lotta coi propri demoni e la fede in Dio.

Così, in questa prima esperienza autorale, i Neventies si rifugiano nella malinconia del passato, osservando il mondo da uno specchietto retrovisore, quale appiglio alternativo per affrontare complicazioni interpersonali e misurarsi con il logorio della vita moderna, eludendo un sistema di cose che soffoca sogni e aspettative in nome di edonismo e conformismo.

 

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