Mogwai
The Bad Fire
(Rock Action)
post-rock
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La scena post-rock ha sempre avuto un rapporto particolare con la dicotomia analogico/digitale, oscillando tra texture soniche pure e manipolazione elettronica. Con The Bad Fire, undicesimo album in studio, i Mogwai portano questa dialettica a un nuovo livello di sofisticazione, consegnandoci un lavoro che fonde sapientemente il DNA sonoro della band con una rinnovata sensibilità per le architetture sonore contemporanee.
Il titolo stesso dell’album – un colloquialismo scozzese per “inferno” – si rivela profetico rispetto alle circostanze della sua genesi: registrato mentre la figlia del polistrumentista Barry Burns attraversava una delicata fase di trattamenti medici, The Bad Fire trasforma il trauma personale in catarsi sonora, utilizzando la tecnologia come medium purificatore.
La traccia d’apertura God Gets You Back stabilisce immediatamente i parametri sonori dell’album: synth arpeggiati che ricordano i momenti più eterei dei Tangerine Dream si intrecciano con le caratteristiche progressioni guitar-driven della band, creando un wall-of-sound che è tanto matematico nella struttura quanto emotivo nell’impatto. Il testo – scritto dalla figlia di Burns – viene processato attraverso filtri vocali che lo trasformano in texture astratta, seguendo una tradizione che va dai Radiohead di Kid A fino ai più recenti esperimenti dei Bon Iver.
Hi Chaos, secondo brano in scaletta, rappresenta perfettamente l’approccio production-oriented del producer John Congleton (anche al lavoro con Swans, Angel Olsen, David Byrne e tanti altri): invece di seguire la classica formula quiet-loud-quiet tipica del post-rock, il brano costruisce tensione attraverso micro-variazioni di frequenza e modulazioni del campo stereo, prima di esplodere in un crescendo che suona sorprendentemente organico nonostante la sua natura altamente da studio.
L’elemento più interessante dell’album è forse il modo in cui i Mogwai hanno integrato elementi di sound design contemporaneo all’interno del loro framework compositivo. Pale Vegan Hip Pain utilizza tecniche di granular synthesis per frammentare e riassemblare le linee di chitarra, mentre Fanzine Made of Flesh spinge il vocoder in territori inesplorati, creando un ponte inaspettato tra shoegaze e hyperpop.
La vera innovazione arriva però con If You Find This World Bad, You Should See Some of the Others, un tour de force di 7 minuti che destruttura e ricompone il DNA sonoro della band. Il mastering di Greg Calbi (Sterling Sound) brilla particolarmente, creando uno spazio sonoro tridimensionale dove ogni elemento trova il suo posto preciso nello spettro delle frequenze.
Dal punto di vista della produzione, The Bad Fire rappresenta un salto qualitativo notevole rispetto ai lavori precedenti. L’utilizzo di tecniche come il parallel compression e il mid-side processing conferisce all’album una dimensionalità che trascende il classico approccio stereofonico, creando un soundstage quasi cinematografico. Non è un caso che molti dei brani sembrino pensati per una fruizione in cuffia, dove è possibile apprezzare appieno la complessità degli arrangiamenti e il dettaglio del sound design.
Il finale dell’album, con Fact Boy, rappresenta forse il momento più emotivamente potente della discografia recente dei Mogwai. La fusion tra elementi acustici (incluso un rarissimo violino) e processing digitale crea un tessuto sonoro che è tanto avant-garde quanto profondamente umano.
The Bad Fire si rivela quindi non solo un eccellente album dei Mogwai, ma un documento importante dell’evoluzione del post-rock nell’era della produzione digitale. La band dimostra che è possibile utilizzare la tecnologia non come effetto speciale, ma come strumento di espressione emotiva, creando un ponte tra la tradizione analogica del genere e le possibilità offerte dal sound design contemporaneo.
In un’epoca in cui molte band post-rock sembrano intrappolate in formule prevedibili, i Mogwai dimostrano che è ancora possibile innovare rimanendo fedeli alla propria essenza. The Bad Fire non è solo un album eccellente: è una masterclass di sound engineering applicata al servizio dell’espressione artistica.
The bad fire
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