Korn + Extrema + Stillwell
Roma, 29 giugno 2011, Rock In Roma, Ippodromo delle Capannelle
live report
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Nostalgica data dei Korn che si fermano a Roma in occasione del tour che promuove il loro nuovo album. Ma visto lo svolgimento della serata e la composizione anagrafica del pubblico, la band sembra più celebrare una carriera ormai abbastanza longeva.
Purtroppo, tanto per cambiare, arrivo tristemente tardi e perdo l’apertura dei milanesi Extrema, arrivando più o meno nel mezzo del set degli energici Stillwell, band in cui compare anche il bassista dei Korn, “Fieldy” Arvizu e che, non a caso, fondono insieme rap, hip hop e heavy metal. Dopo il loro set gradevole e adattissimo al clima della serata, e dopo i loro calorosi saluti al pubblico, c’è tempo anche per un dj-set che allieta la scarsa mezz’ora di cambio palco con un revival anni’90 animato, tra gli altri, da Rammstein, Slipknot e System Of A Down.
Questo sguardo puntato a un linguaggio comune a un’intera generazione, forse due, non potrebbe essere in realtà più calzante anche rispetto a quello che verrà dopo. Non solo per i richiami al passato (anche se abbastanza recente) delle magliette che vedo in giro (che recitano cose come Old School Korn Fan e Still A Fuckin’ Freak), ma anche e soprattutto per la composizione anagrafica del pubblico – la mia percezione è stata di una fascia di età predominante tra i 25 e i 40 anni (l’età media abbassata da qualche bambino al seguito dei genitori). Quindi fan di vecchia data per lo più, che hanno seguito e amato la band fin dagli esordi.
E che non credo siano rimasti delusi dallo show offerto dai Korn, che prendono il controllo del palco intorno alle 22.30, da subito energici. Il loro set forse non è tiratissimo, ma non manca comunque di infiammare il pubblico, soprattutto dal momento che i nostri sfoderano un cavallo di battaglia dopo l’altro (tanto per citarne solo alcuni, Freak On A Leash, Here To Stay, Got The Life).
Le mie aspettative erano in qualche modo incerte, ma devo dire che alla fine i Korn sono riusciti a essere emozionanti e il clima generale era molto positivo; intensi e rumorosi ma in grado di concedere/concedersi pause più sfumate, tanto poi l’esplosione è sempre dietro l’angolo.
L’aggressività mi è sembra in qualche modo un po’ meno calcata, forse più matura, acquistando in densità; la situazione quasi intima (nonostante il luogo sia molto grande il pubblico non è numerosissimo) crea una forte empatia tra palco e pubblico. Dall’alto della sua batteria gigante, Ray Luzier mantiene ritmi serrati che a un certo punto si dispiegano anche in un lungo assolo. La voce di Jonathan Davies riesce a essere duttile e carismatica, e l’insieme di tutti sulla scena è decisamente affiatato. Nell’ultima parte del concerto si preme di più sull’acceleratore, con Coming Undone fino a un epilogo piuttosto violento, ma anche carico di emotività e partecipazione.
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