Katherine Priddy: recensione di The Pendulum Swing

L'oscillazione tra passato e futuro come metafora narrativa ed emotiva del nuovo album della cantautrice Katherine Priddy, la cui voce dai toni delicati e confidenziali si mescola a sonorità folk acustiche dal tocco nickdrakeiano.

Katherine Priddy

The Pendulum Swing

(Cooking Vynil)

folk acustico, roots contemporaneo, emotional folk, dream folk, country folk

[voto 3.4]

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“La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente tra il dolore e la noia, passando per l’intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere e della gioia”. (Arthur Schopenhauer)

A distanza di due anni dalla pubblicazione del primo album The Eternal Rocks Beneath, e dopo aver riscosso notevoli consensi sia nel Regno Unito che negli Stati Uniti, Katherine Priddy torna in scena con il suo secondo full-lenght intitolato The Pendulum Swing, registrato dal produttore Simon J. Weawer e anticipato dall’uscita dei singoli Selah e First House On The Left.

In questo nuovo capitolo discografico dal taglio folk acustico, composto da dodici tracce (di cui due strumentali in apertura e chiusura, Returning e Leaving), la cantautrice di Birmingham continua ad affinare il suo poetico mood autorale e ad assecondare una scrittura stilistica dalle proprietà terapeutiche, alternando armonie bucoliche e soleggiate dai riflessi primaverili ad atmosfere più misteriose e riflessive dai tratti autunnali. Un vellutato fingerpicking di evidente rimando nickdrakeiano e la vocalità confidenziale, diafana e carezzevole di Katherine Priddy fanno da raccordo epidermico tra i vari episodi della release, passando il classic country alla Joan Baez di Ready to Go e le atmosfere celtiche di Does She Hold You Like I Did, che si mescolano alla malinconia latineggiante di trombe mariachi.

“Nonostante il suono morbido e sognante, il tema centrale del disco orbita attorno alla vecchia casetta in cui sono cresciuta e a tutti i ricordi racchiusi tra quelle quattro mura, sia per me che per tutte le persone che hanno vissuto lì nel corso dei secoli. Potrebbe essere solo un cottage a schiera per i passanti, ma per coloro che l’hanno chiamata casa è tutto”, commenta Katherine.

Il titolo del disco descrive, dunque, il bisogno di partire e quello ancora più impellente di tornare, mentre nel mezzo affiorano tutte quelle storie che appartengono al nostro vissuto e al trascorso di altre generazioni. Il focus narrativo si racchiude nel forte richiamo della nostalgia, in quel precario equilibrio che scivola sul sottile filo onirico dei sentimenti, rievocando l’incanto circoscritto di quel giardino d’infanzia fatto di frammenti di porcellana, semi di fiori piantati e poi sbocciati e vecchi ferri di cavallo.

Immaginando l’oscillazione di un pendolo tra passato e futuro, come metafora emozionale del dualismo tra il conforto dei ricordi e l’incertezza del domani, Katherine Priddy esprime il desiderio di catturare e condividere schegge di memoria sospese, riconquistando la saggezza di vivere un giorno alla volta (“all I want is to live slow and easy, one day at a time is enough speed to please me”) e setacciando quei luoghi affettivi che rappresentano ancora un rifugio dalle ansie del presente.

Nel complesso, The Pendulum Swing suona effettivamente come un qualcosa di vissuto, che Katherine Priddy tenta di rivivere attraverso il simbolismo di A Boat On The River, dove “boat” raffigura tutto ciò che fa parte della nostra esistenza e “river” è il flusso cangiante e inarrestabile della vita, del tempo. Così, mentre note e parole si confondono con le tiepide brezze di vento e con l’odore del legno affumicato, la corrente del fiume, dopo il tortuoso cammino intrapreso, finisce per unirsi all’oceano, accettando l’inevitabile natura dei cambiamenti: “all that I want is a boat on the river, and someone to hold and time to deliver me on, ‘til I’m old, I’ll go where the current takes me”.

 

facebook/KatherinePriddy

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