Intervista ai Mokadelic

Noi di RockShock ci siamo occupati spesso e con piacere dei Mokadelic: era ora di conoscerli più da vicino.

I Mokadelic sono una band robusta, nel senso che si perdono poco in chiacchiere (e purtroppo ancor meno sui palchi, anche se con l’ultimo album stando andando in tour) e spendono la maggior parte del loro tempo nello studio di registrazione.

Noi di RockShock ci siamo occupati spesso e con piacere dei Mokadelic: era ora di conoscerli più da vicino.

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Intervista ai Mokadelic

mokadelic-chroniclesChronicles è il vostro primo album, in dieci anni, di musiche originali che non saranno (almeno per il momento) la colonna sonora di un film o una serie TV. Com’è stato l’approccio alla composizione di questo disco e quanto è stato differente rispetto ai vostri lavori passati?

Chronicles raccoglie idee che nell’arco del tempo si sono sedimentate e che hanno avuto l’opportunità di maturare insieme a noi. La composizione e la lavorazione ai brani è stata molto naturale e istintiva. Per noi fare un lavoro svincolato dalle immagini è stato l’opportunità per essere liberi e potere quindi lasciare spazio ai suoni. Nel riascolto ci siamo resi conto di come si fosse delineata nella nostra modalità compositiva una distinzione evidente di due mondi, uno di ispirazione rock e uno di ispirazione elettronica, per questo motivo ci è sembrato funzionale distinguere il nostro nuovo lavoro in due volumi che rispecchiassero questi due mondi sonori.

Sedici brani per circa un’ora di musica senza neppure un riempitivo: da dove viene questa bulimia compositiva?

Ci siamo fatti ispirare da tante cose, un po’ da idee che sono nate da improvvisazioni in sala, altre idee invece sono nate in parallelo ad esperienze con il cinema o la televisione e quindi rispecchiano le sonorità di quei momenti. Lavorare con il cinema ci ha restituito una grande voglia di continuare a lavorare sotto il profilo delle immagini. In Chronicles si è cercato di evocare immagini più che andarle a sostenere.

Tra i due volumi che compongono l’album c’è una interessante differenza stilistica, è una evoluzione dalla quale in molti si aspettano conseguenze future. State pensando di spostarvi completamente verso l’elettronica ed abbandonare le chitarre?

Siamo nati nell’era analogica e il nostro approccio compositivo è rimasto quello. Le corde, i tamburi e il pianoforte non saranno mai sostituiti ma saranno integrati con le meravigliose opportunità che, in termini creativi, da l’elettronica. Nell’attuale tour di Chronicles iniziamo a portare dal vivo questo modo di suonare.

Rilasciare un doppio album, per una band dalla popolarità in crescita, in un momento storico in cui gli album (purtroppo) non si ascoltano quasi più per intero, non credete possa essere un azzardo?

Abbiamo deciso di pubblicare Chronicles per una nostra profonda necessità di uscire allo scoperto con qualcosa di veramente nostro, decidendo anche di stampare il disco in vinile. Non ci siamo posti il problema del mercato e della vendita, anche se chiaramente facciamo di tutto per poter portare la nostra musica in qualsiasi posto, in un certo senso quindi non abbiamo avuto la percezione di fare un azzardo ma siamo consapevoli del fatto che la vendita dei dischi vive un momento di grande trasformazione. Abbiamo fatto di tutto perché in ogni brano di “Chronicles” emergesse lo spirito dell’insieme.

Siete una band che ha fatto delle colonne sonore il suo marchio di fabbrica, dunque suppongo facciate un grande lavoro in studio; quali sono gli aspetti della componente live, invece, che vi piacciono di più?

Il live ha la capacità di riconnetterci con il pubblico e i concerti diventano quindi delle esperienze condivise in cui tutti siamo coinvolti in qualcosa più grande di noi. Questo elemento non è ricreabile in studio, per questo il live sarà una parte della nostra vita musicale irrinunciabile.

La vostra carriera è costellata di lavori importanti, tuttavia la colonna sonora di Gomorra è forse quello più conosciuto, merito anche della popolarità dilagante della serie. Come vi rapportate alla fama che avete raggiunto?

Certamente ci fa piacere aver preso parte ad una delle serie italiane più viste di sempre. Per il resto continuiamo a suonare come sempre cercando nuove opportunità espressive e rimanendo con i piedi per terra dandoci sempre nuovi obiettivi. In sostanza direi quindi che l’esperienza di Gomorra – La serie ha aumentato la nostra voglia di continuare.

Per comporre i brani che sarebbero finiti poi in Gomorra avevate a disposizione del girato immagino, o quanto meno la sceneggiatura, un soggetto. Avevate la sensazione, mentre vi confrontavate con la trama, che sarebbe diventato il successo che tutti conosciamo?

Alla proiezione della versione non definitiva della prima puntata abbiamo subito capito che quello che stavamo vedendo si staccava nettamente da un punto di vista qualitativo rispetto alla realtà italiana. Ci siamo quindi sentiti investiti di una grandissima responsabilità…f are le musiche originali non sarebbe stata una cosa semplice ma proprio questa consapevolezza ci ha dato una grande spinta, che abbiamo assecondato e ci ha portato ad esplorare sonorità per noi inusuali ma molto affascinanti.

Chiudiamo la parentesi Gomorra e torniamo al presente: come è cambiato il mondo della musica dal vostro esordio ad oggi?

Oggi internet ha un ruolo fondamentale per la diffusione delle idee, si perde meno tempo nella fase produttiva e molto di più nella fase della diffusione. Oggi si ha l’opportunità di poter arrivare ovunque nell’immediato, cosa che prima era molto più difficile e questo chiaramente noi lo leggiamo come un valore positivo perché ai nostri esordi, ad esempio, avere una semplice registrazione da promuovere era una delle preoccupazioni principali. Questo pone chi produce idee musicale in un’altra prospettiva, più semplice e pertanto più percorribile.

Cosa consigliereste a dei giovani musicisti che vogliono seguire le vostre orme?

Consiglieremmo di sperimentare e cercare sempre strade diverse rispetto al passato, di fare gruppo e di cercare di vivere la musica come una opportunità di crescita collettiva.

 

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Antonio Serra
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