Intervista a Pino Scotto (ci presenta il nuovo disco: Dog Eat Dog)

Pino Scotto è un rocker vero che non ha bisogno di presentazioni. Dog Eat Dog è un album fresco, pieno di buone canzoni. Ce lo siamo fatti raccontare in questa scoppiettante intervista.
Pino Scotto
ph. Nicola Allegri

Pino Scotto è un rocker vero che non ha bisogno di presentazioni. La sua carriera è stata dedicata solo ed esclusivamente al rock, prima come leader dei Vanadium e poi come cantante solista. Da quando si è messo in proprio, salvo una parentesi con gli ottimi Fire Trails, il Pinone nazionale ha raccolto elogi e consensi ed i suoi dischi, sfornati puntualmente con cadenza biennale, hanno la capacità di essere sempre vivi e pieni di novità. Dog Eat Dog, uscito all’inizio della pandemia, è un album fresco, pieno di buone canzoni, in cui la tradizione dei grandi del passato si fonde al meglio con la modernità dei suoni del nostro tempo. Sono tante le perle contenute in questo disco, da One World One Life a Right From Wrong, passando per Talking Trash e la titletrack che dimostrano come la vena artistica del cantante campano non si sia assolutamente inaridita. L’inizio di questa intervista con Pino Scotto parte proprio dalla genesi del suo ultimo lavoro.

RS: Come è nato Dog Eat Dog?

PINO SCOTTO: Io venivo fuori da un periodo di numerosi concerti. Con la mia band avevo tenuto ben 140 date in giro per l’Italia e nel precedente lavoro di studio, Eye For Eye, avevo voluto recuperare il mio amore per l’hard rock tradizionale. Con il nuovo album la mia voglia è stata quella di andare ancora più indietro. Qui ho cercato di realizzare un disco senza confini come erano soliti fare i grandi del passato tipo Led Zeppelin e Deep Purple. Ho scritto ben trenta pezzi, dodici dei quali sono andati a finire nel disco, ed ho cercato di mettere il mio mondo, partendo dagli anni 70 sino ad arrivare ad oggi.

RS: Questo disco è diverso dagli altri realizzati in precedenza. Sei d’accordo?

PINO SCOTTO: Certamente e sarà ancora peggio per i prossimi album e questa è una minaccia. Non ci saranno più confini e limiti nei miei futuri lavori, nel senso che qualsiasi cosa mi verrà in mente la scriverò. Precedentemente, forse, mi mancava qualcosa e credo che ora sono in una condizione che posso realizzare ancora di più ciò che desidero. Non voglio essere pretenzioso, ma da questo disco credo che molta gente prenderà esempio. In questo caso ti trovi dinnanzi ad un bivio. O ti incanali in un genere e ti chiudi in una gabbia come è successo al metal o ti metti a scrivere quello che ti viene. Io voglio fare questa seconda cosa.

RS: Perché sei ritornato all’uso della lingua inglese?

PINO SCOTTO: Penso che sia una lingua universale che ti tiene delle porte aperte anche all’estero. Già da quattro anni fa con il mio live feci dei brani in italiano e recuperai alcune canzoni dei Vanadium e dei Fire Trails scritte in inglese. Ad essere sinceri cantare in inglese è più facile e ciò ti agevola anche nel cantato. Devo dire che il mio inglese è un po’ maccheronico e viene dalla mia frequentazione della base Nato di Bagnoli. Il mio primo gruppo si chiamava Day Dream e con questa band suonavamo ogni giovedì alla base Nato. Prima di poter suonare in quel posto, gli americani fecero ricerche sulle nostre famiglie per capire se eravamo persone tranquille. Mi ricordo che ci davano un pass che ti permetteva di entrare in determinate zone della base, di suonare, di andare in piscina e comprare dischi. In quel periodo mi fidanzai con una ragazza americana di nome Daisy con la quale ebbi una storia di un anno e mezzo. La mia frequentazione con Daisy fu importante soprattutto per imparare la lingua e credo che si senta come la mia pronuncia sia più americana che inglese. Alla fine il padre di Daisy voleva che la sposassi, ma quando io sentì la parola matrimonio scappai. Ero sempre un ragazzo di 17 anni. Dopo i Day Dream, vennero gli Ebrei, nome usato tanto per provocare. E poi, quando andai a Milano, arrivarono i Pulsar.

RS: Non pensi che con il ritorno all’inglese le tue denunce possano passare in secondo piano?

PINO SCOTTO: Ti dico la sincera verità. Ho inciso tanti dischi in italiano, ma mi sono accorto che alle persone non frega niente di quello che dico. A questo punto ho deciso di ritornare all’ inglese. Ho inciso canzoni che se le avessero scritte Vasco o Ligabue sarebbe successo il delirio. Mi sono sempre esposto come persona e questo nel nostro paese non va bene.

RS: Volevo soffermarmi su alcune canzoni, come ad esempio Right From Wrong che ritengo una delle migliori del lotto. Di cosa parla e come è venuta fuori?

PINO SCOTTO: Il brano è nato tutto con quell’arpeggio blues iniziale e nel testo ho parlato della consapevolezza dei miei errori. Si tratta di un pezzo senza maschere.

RS: In One World One Life si sente l’uso del sax che non è uno strumento usuale nel rock e che dà una marcia in più a questa canzone. Che cosa ci puoi dire?

PINO SCOTTO: Questo brano l’ho scritto per mio figlio e qui parlo delle mie esperienze. Mi ricordo che quando nacque, lo tenni in braccio per un’ora e piansi tantissimo. Ho cercato di parlare di cosa ti comporta la nascita di un figlio. Dire che ti cambia le prospettive è abbastanza chiaro. Già negli anni 80 scrissi un altro pezzo per lui, ma mi sembrò banale. Lo misi su cassetta e glielo regalai. In questo disco non ho celato nulla e ho fatto tutto spudoratamente. Già in passato, comunque, avevo scritto qualcosa per altri componenti della mia famiglia. Angel of Mercy la scrissi per mia madre.

RS: Hai detto precedentemente che hai scritto trenta brani per questo disco. Le canzoni che non fanno parte dell’album le utilizzerai in seguito?

PINO SCOTTO: Non lo so, anche perché ne ho già altre che ho scritto in passato che sono chiuse nel cassetto. Devo vedere cosa fare. Diciamo che come mi sveglio decido di agire.

RS: Cosa pensi della situazione che si è venuta a creare con i concerti bloccati per chissà quanto tempo?

PINO SCOTTO: All’inizio quando è scoppiata la pandemia, il mio album era appena uscito. I primi giorni è stata dura soprattutto perché sono uno che sta poco in casa. Devo dire che dopo i primi giorni chiuso in casa ho incominciato a prenderci gusto. Ho iniziato a leggere libri che avevo in sospeso, ho visto tanti dvd ed ho scritto molto. Ora, però, basta. Vorrei uscire e suonare nuovamente con la mia band. Purtroppo a guardare gli eventi, mi sono accorto che non sarà facile. Penso che noi italiani dobbiamo mantenere questa corona del popolo più ignorante d’Europa. Appena hanno aperto le gabbie, è stato un disastro. Purtroppo il popolo italiano va educato. La gente se ne fotte, anche se non tutti sono così menefreghisti.

RS: Quarant’anni di carriera sono tanti. Se dovessi fare un bilancio, il bicchiere sarebbe mezzo pieno, mezzo vuoto, pienissimo oppure…

PINO SCOTTO: Il bicchiere è sempre mezzo pieno. Nel testo della ballad Before It’s Time To Go faccio un mea culpa sugli eccessi provati nel corso della mia esistenza. Ho ancora tanta strada da percorrere e promesse da mantenere, soprattutto a me stesso. In un’altra intervista ho detto che non scenderò mai dal palco e questa è una minaccia. Devo anche dire che il mio sogno è scrivere un album di blues come piace a me e credo che i tempi siano maturi.

 

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