Daniela Pes: recensione di Spira 

Dalla Gallura arriva Daniela Pes. Il suo Spira è un album in cui si respira un’aria lugubre, desolata, un senso di angosciata spiritualità, un arcaico e viscerale attaccamento alla terra natia.

Daniela Pes

Spira

(Tanca Records)

folk, elettronica, canzone d’autore

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Vincitrice del premio Tenco come miglior opera prima, l’esordiente Daniela Pes sta ottenendo enormi riconoscimenti dal pubblico e dalla critica nazionale ed internazionale, collezionando un tour mozzafiato e recensioni esaltanti.

L’artista 31enne di Gallura non è certo alle prime armi, porta con sé un grande bagaglio di esperienza proveniente dalla sperimentazione della musica Jazz e con alle spalle già parecchi premi vinti.

Con Spira si conferma una vero e proprio astro nascente nella produzione folk- elettronica-sperimentale, tra le proposte più interessanti e vive del momento.

Il disco uscito per Tanca Record, etichetta di Io sono un cane, aveva già destato non poche curiosità tenendo presente l’enorme ed egregio lavoro fatto dall’artista/ produttore con il suo penultimo album Ira.

Si capisce subito, appena parte l’ascolto, che Iacopo Incani ha un’idea bella chiara di quello che deve essere il sound rappresentante la sua label; un discorso coraggioso se si considera che prima di lui solo etichette come la 4AD sono state in grado di reclutare artisti con un concept così definito da riuscire ad incarnare l’ideologia di quest’ultima.

Daniela Pes rappresenta quello che i Dead Can Dance hanno rappresentato per la 4AD. Complice anche la creazione di un linguaggio completamente inedito, caratterizzato da antichi detti galluresi misti a stralci di vocaboli italiani e termini completamente inventati, l’atmosfera diviene sospesa, magica, onirica, confortante ed emozionante.

Un’aria lugubre, desolata, un senso di angosciata spiritualità, un arcaico e viscerale attaccamento alla terra natia, pervadono l’intero lavoro.

Il timbro caldo ed avvolgente – e quasi gitano – della Pes è sorretto da un’imponente orchestrazione che si destreggia tra batterie tribali ed pattern elettronici che sospendono il disco tra passato e moderno, innalzandolo in una dimensione spazio temporale completamente personale.

La carica emotiva è altissima già da Ca Mira dopo un inizio folkloristico il brano diviene una straordinaria ed inaspettata nenia.

Illa sera sorprende e spiazza, e si apre ad un gioiello come Carme, straziante e romantico allo stesso tempo, con quell’arpeggio che sorregge l’intero brano; e una grande prova canora, così devastante che diventa impossibile separarsene. Proprio qui la mano di Io sono un Cane si sente più incisiva regalando un’apertura morriconiana che dire solo bellissima sarebbe dir poco.

Il sussurro di Ora rapisce ed affascina. Laira è un eccellente esempio di come un’antica melodia vocale si possa mescolare ed armonizzare perfettamente con un arrangiamento dallo stampo moderno.

L’intermezzo ambient di Arca è qualcosa di indescrivibile, meraviglioso, sublime, una colonna sonora degna di un film d’autore. Chiude l’incantevole A Te Sola, utopica e drammaturgica, che costruisce in dieci minuti scenari ed immaginari mistici; travolgente, esasperante e capace di inchiodare fino all’ultimo secondo l’ascoltatore.

Già solo questo brano basterebbe per definirlo un’opera d’arte se non fosse che l’intero lavoro è ben al di là del capolavoro.

È l’orgoglio di una terra, è la maturità di un grande progetto e di un fantastico connubio tra la Pes ed Io sono un cane, che riscatta completamente la musica indipendente italiana, proiettando l’Italia e la Sardegna, in particolare, nel panorama internazionale dei grandi ed immortali.

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