The Jesus and Mary Chain: recensione di Glasgow Eyes

A distanza di sette anni dalla pubblicazione di Damage and Joy, i fratelli Reid dei The Jesus and Mary Chain tornano con Glasgow Eyes.

The Jesus and Mary Chain

Glasgow Eyes

Fuzz club records

post-punk, indie

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A distanza di sette anni dalla pubblicazione di Damage and Joy, i fratelli Reid dei The Jesus and Mary Chain tornano con Glasgow Eyes.

Una tappa importante questa, che oltre a segnare il loro tanto agognato ritorno, decreta anche l’inizio di un nuovo grande tour che abbraccerà Regno Unito ed Europa, nonché il raggiungimento del loro quarantesimo anno di attività che verrà omaggiato con l’uscita di un’autobiografia (pubblicata da Orion/White Rabbit).

Vogliono tornare a casa, dichiarano “quegli strani gemelli che finiscono le frasi a vicenda” (così come loro stessi si definiscono), e ritrovare l’approccio dell’84, quando le canzoni facevano il loro corso.

Certo dal lontano ’84 ne hanno percorsi di chilometri e – per stessa ammissione di Jim – se in quegli anni le sessioni di registrazione si rivelavano una vera e propria “esperienza dolorosa” dove era l’antagonismo a padroneggiare, ad oggi ciò che conta davvero è la musica, perché non riescono proprio ad immaginare di fare altro.

Dunque dovremmo ritrovare l’abrasione chitarristica di Psychocandy  o la dolcezza melanconica di Darklands, o le melodie appiccicose di Automatic se vogliamo spingerci fino all’89.

Certamente Glasgow Eyes è un disco dei Jesus and Mary Chain, a tratti oscuro, romantico, frenetico, rumoroso, dove non mancano incursioni glam rock/punk, feedback, distorsioni, richiami nostalgici ed episodi autoreferenziali, come Chemical Animal e Pure Poore, dove le frustate chitarristiche si riaffacciano con la verve di un tempo.

Ma è anche un album che vuole mantenere aperto un varco tra passato e futuro; e lo fa mediante l’inserimento di sintetizzatori, drum machine e le immancabili chitarre ricche di fuzz che da sempre definiscono lo stile dei Jesus come sporco ed aggressivo.

Dodici tracce che cercano di distaccarsi dall’ultima operazione di Damage and Joy e che rievocano perfettamente le sonorità degli anni ’80 e ’90, arricchite di una certa psichedelia ed accattivanti campionamenti.

In brani come Venal Joy, Jamcode e Girl 71 si comprende perfettamente l’intento di mescolare un certo pulviscolo psichedelico (alla Primal Scream) con la ricerca di una melodia pop particolarmente catchy, mentre in Discoteque le ritmiche robotiche sembrano richiamare i Neu.

In American Born e Mediterranean X le robuste pulsioni elettro-noise-rock fanno riecheggiare le ambizioni multiformi dei Death in Vegas.

Con Second of June i fratelli Reid ci regalano un momento malinconico e personale, ripercorrendo quello che è stato il loro percorso di riappacificazione e ciò che li ha riportati finalmente a casa.

Per poi arrivare a tracce come the Eagles and The Beatles e Hey Lou Reid, dei veri e propri omaggi agli artisti del rock che hanno influenzato così tanto la formazione artistica dei Jesus da renderli quelli che oggi sono e che sono stati in quaranta anni di carriera.

Glasgow Eyes non è un disco innovativo, ma per William e Jim sigilla una rinnovata armonia e stima tra i due; segna la voglia di tornare a suonare e calcare insieme nuovi palchi, con una maturità che va a seppellire discordie e rancori passati.

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Simona Pietrucci
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