Cult Black Venus: recensione di Perfume

Cult Black Venus, ovvero i disagi di un'infanzia solitaria in Siberia. Perfume è un viaggio nei meandri dell’inquietudine, che canta di amore e morte, definendo attimi di terrore che non sempre sono solo frutto dell’immaginazione.

Cult Black Venus

Perfume

gothic folk, doomgaze

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Folk, misticismo, lutto, nichilismo, un profondo etereo senso di alienazione: sono i sostantivi che mi vengono in mente per descrivere Perfume, album partorito dalla sola mente di Cult Black Venus, alias Anastasia Zelinskaya, artista russa emergente nell’ambito della scena gothic folk e doomgaze.

Figlia di un taglialegna, la giovanissima artista siberiana, vive per i primi sei anni immersa nella desolazione più profonda della taiga.

Si delinea così un’infanzia dolorosamente solitaria (come lei stessa la descrive) dove la foresta, i suoi suoni, i suoi sentieri e le sue monumentali rocce, per lungo tempo hanno rappresentato la sua unica fonte di amicizia, e la malinconia la migliore forma comunicativa.

È da quelle impenetrabili e mistiche boscaglie che nasce (nel 2020) il progetto Cult Black Venus, da un linguaggio oscuro e cinematico capace di restituire, in otto tracce, i paesaggi lastricati di ghiaccio e gli interminabili inverni siberiani.

Ispirato da vecchi film horror, dalle poesie di William Blake e dai dipinti di Austin Osman Spare, Perfume è un miscuglio di chitarre distorte, di tamburi tribali, di voci sussurrate; è un viaggio nei meandri dell’inquietudine, che canta di amore e morte, definendo attimi di terrore che non sempre sono solo frutto dell’immaginazione.

L’aria catacombale, cupa e claustrofobica si respira già a partire da The Magic Mountain dove si delinea un droning doom oscuro e sciamanico, acquistando poi una vena più sensuale ed ammaliatrice in tracce come So sweet e Burial roses.

Il corteggiamento luciferino prosegue in You look like a girl e Our secret place, dove la voce angelica di Anastasia e il netto contrasto con il black ambient aprono le porte ad uno scenario alquanto apocalittico.

Se in brani come A dark forest l’artista riesce ad incastonare bene beat tribaleggianti, voce sognante e vaporose strutture di synth, è in My lovely boy death e la conclusiva Cradle song che il rito si compie in un fascino notturno dai richiami funerei e romantici, accompagnandoci in una passeggiata solitaria, sorseggiando assenzio.

Per Cult Black Venus è buona la prima; con sincerità racconta la sua Siberia, i suoi paesaggi e i suoi umori. A colpi di cassa, di synth e di chitarre riesce a disegnare uno scenario vivido e vitale capace di catturare l’attenzione dell’ascoltatore.

Perfume ha tracciato una scia evidente e noi non vediamo l’ora di scoprire dove ci porterà continuando a seguirla.

https://cultblackvenus.bandcamp.com/album/perfume

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