A Place to Bury Strangers: recensione concerto, Roma, 3 dicembre 2010, Black Out

Breve e intenso come un orgasmo arrivato all'improvviso. Così i A Place to Bury Strangers nella tappa romana, funestata dal furto del loro furgone. Sul futuro della band ci rassicura il loro bassista, raggiunto alla fine del concerto

A Place to Bury Strangers

Roma, Black Out, 3 dicembre 2010

live report

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a-place-to-bury-strangersNon c’è tantissima gente ad aspettare gli A Place to Bury Strangers al Black Out. Sarà perché 15 euro per una band che ha già suonato in città sei mesi prima non sono proprio una bazzecola, sarà perché 8 gradi per Roma sono davvero pochi, sarà perché piove da dieci giorni. O sarà semplicemente una serata “no”. Anche per altre ragioni.

Sono le 23.30 quando il Black Out si riempie di fumoni e le quinte impazziscono di proiezioni psichedeliche. Chitarra, basso, batteria e una manciata di pedaliere, formazione classica, suono d’altri tempi, zeppo di reminescenze noise e shoegaze, da My Bloody Valentine a Jesus & Mary Chain e compagnia assordando. Sul palco non c’è il loro tradizionale laptop, da cui dovrebbero partire effetti e sequenze. Non c’è perché è stato rubato insieme al furgone, poco prima dell’inizio del concerto. Per fortuna gli strumenti erano già montanti sul palco, ma proseguire il tour sarà dura.

A Place to Bury Strangers on stage: né buonasera, né grazie, né i titoli dei pezzi. Olivier Ackermann ciancica i testi delle sue canzoni sommerso da montagne di feedback e distorsioni, uno schiaffo in faccia ai presenti, stordente e straniante.

Gli A Place to Bury Strangers suonano tre/quattro pezzi dal loro Exploding Head, tutti bellissimi, dilatati, tirati, con un sound pazzesco (anche se il microfono di Olivier sembra sepolto). Poi si dedicano a una lunghissima session in cui gli strumenti vengono lanciati, grattugiati, seviziati e stuprati per produrre un improvviso orgasmo, tanto intenso quanto breve.

Sono passati quaranta minuti, infatti, quando gli A Place to Bury Strangers scendono dal palco per non farvi più ritorno.

Poco dopo incontro Jason, il neozelandese bassista in forza alla band (ha preso il posto di Jono Mofo ormai già da un po’, anche se non era presente al tour italiano di maggio in quanto tornato a casa per un grave lutto). E’ molto scosso dal furto del pomeriggio, che li caccia in un sacco di guai, a cominciare dal problema del passaporto, per non parlare del fatto che non ha più un abito oltre quelli che ha addosso. Gli chiedo come mai hanno suonato così poco e cosa hanno in programma per i prossimi mesi. Mi dice che avevano preparato un set di poco più di un’ora, ma che i gestori del locale, per non meglio precisati problemi organizzativi, gli hanno chiesto/imposto di suonare poco (!). Dovrebbero terminare questo tour europeo giusto prima di Natale, per poi a gennaio rinchiudersi in studio, registrare il nuovo album e ripartire in tour per l’estate, raggiungendo i festival europei.

Da parte nostra ai A Place to Bury Strangers vanno i migliori auguri per la risoluzione nel migliore dei modi dell’incidente di ieri sera; c’è però da dire che quella dei furti ai danni dei musicisti, almeno qui a Roma, con furgoni che misteriosamente e repentinamente si volatilizzano, è una storia vecchia e che funesta i club romani, specie i più piccoli, da almeno dieci anni. Roma proprio non ha bisogno anche di questo per vedere definitivamente sotterrare la sua scena musicale indie e alternative.

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Critico cinematografico, sul finire degli anni '90 sono passato a scrivere di musica su mensili di hi-fi, prima di fondare una webzine (defunta) dedicata al post-rock e all'isolazionismo. Ex caporedattore musica e spettacoli di Caltanet.it (parte web di Messaggero, Mattino e Leggo), ex collaboratore di Leggo, il 4 ottobre 2002 ho presentato al cyberspazio RockShock.
Parola d'ordine: curiosità.
Musica preferita: dal vivo, ben suonata e ad altissimo volume (anche un buon lightshow non guasta)

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