Ypsigrock 2023: ecco com’è andato il festival più indie d’Italia (Slowdive, Panda Bear & Sonic Boom, Verdena, The COmet Is Coming, …)

L'Ypsigrock anche quest'anno ci ha regalato un'atmosfera rilassata e tantissima ottima musica. Un festival così è un bene prezioso: le band ci arrivano volentieri da ogni dove, così come il pubblico. Ecco com'è andata l'edizione 2023.

Ypsigrock 2023

Castelbuono (Palermo), 10 – 13 agosto

live report

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Sembra incredibile che l’Ypsigrock abbia 26 anni di vita e sembra ancora più incredibile guardare le line-up di questa e delle edizioni passate e scoprire quanta ottima musica i suoi organizzatore siano riusciti a portare a Castelbuono, delizioso paesino arroccato sulle Madonie, non proprio quindi lungo le tradizionali rotte delle carovane del rock. Un orgoglio tutto siciliano che in tutti questi anni ha vantato la partecipazione di tantissimi artisti esordienti e grandi nomi tra cui: Editors, Belle & Sebastian, The Horrors,  Moderat, Savages, The Jesus and Mary Chain, Crystal Castles e i Mogwai (giusto per fare qualche nome), questi ultimi talmente gasati dall’esperienza da definirlo il miglior festival a cui abbiano mai partecipato.

Per quanto il festival sia cresciuto tantissimo, l’aria che sia respira è la stessa sin dall’inizio, un clima di uguaglianza, fraternità, rispetto e voglia di condivisione tra musicisti e spettatori. L’idea è quella di stare insieme e godere solo della grande passione per la musica, con tutte le band in cartellone che occupo lo stesso spazio, a voler ribadire che – al di là di chi suona prima e chi suona dopo – che ogni artista è importante. E l’atmosfera è così rilassato che incontrare le band per i vicoli di Castelbuono e scambiarci quattro chiacchiere… è la norma.

L’apertura dell’evento, (nella Chiesa sconsacrata del Crocifisso) viene affidata a Marie Davidson, polistrumentista e produttrice canadese (facente parte, insieme al marito Pierre Guerinoe del gruppo Essaie Pas, che vi invito ad ascoltare); in questa occasione si presenta in solitaria, sfoderando una minimal wave- techno dal retrogusto horror che a tratti sfocia nell’electroclash. Un muro di sintetizzatori analogici e drum machine accompagnati dalla performance straniante ed ipnotica di Dana Gingras (coreografa e performer canadese).

Il tutto dura circa una mezz’ora e siamo già pronti per spostarci verso la magica arena di piazza Castello, dove già la folla si accalca per prendere il miglior posto, si perché in arrivo ci sono i Verdena, la band più attesa della serata. Non poche sono le persone che cercano un biglietto di fronte al castello per ammirare lo spettacolo, ma questa come anche tutte le altre serate è sold out e quindi non gli resta che ascoltarli sul corso principale. Prima di loro, i Pale Blue Eyes e il loro drem-pop / shoegaze in salsa kraut non riescono a sorprendermi, mentre la sfortuna di una serie di problemi tecnici funesta lo spettacolo indie-post-punk di Ekkstacy.

Con amplificatori per basso e chitarra grandi come frigoriferi, i Verdena sono chirurgici ed impetuosi, non fanno prigionieri. Il suono è compatto, enorme, assassino. Stacchi e riprese con una coesione inaudita (soprattutto tra batteria e basso). Spaziano tra soluzioni stoner-prog, spingendosi in aperture quasi al limite dell’hardcore; l’arena è in fiamme e are spontaneamente su Logorrea, che fa cantare all’unisono gli oltre 3.000 arrivati davanti al Castello. I bergamaschi non si fanno pregare e snocciolonano (anche) i loro successi di sempre:  Luna, Valvonauta e Muori delay, per una set list di 21 brani che conferma i Verdena come una delle kigliori live band italiane in circolazione.

La cosa bella dell’Ypsig rock è che è un festival a misura d’uomo, tutto si raggiunge in meno di cinque minuti a piedi e soprattutto gli artisti vagano felici per il paese, assaggiando granite e brioche con il gelato.

Sono infatti le 11 del venerdì mattina, mi appresto a dirigermi verso Piazza Castello perché oggi ci sono gli Slowdive e perché il soundcheck è aperto a tutti e non voglio certo perderlo.

Tutto è pulito ed in ordine e i tecnici sono già all’opera, il primo ad arrivare è Simon Scott accompagnato dal figlio, ma gli altri non si fanno attendere. L’ingresso di Rachel Goswell richiama altri fans, subito intenti a strappare autografi e foto (tra cui anche io, ovviamente!). Sono tutti emozionati, Rachel continua a dire che il posto è meraviglioso e che è felicissima di esser potuta tornare.  Già, perché una delle regole della manifestazione è che ogni band o musicista può suonare una sola volta, ma lei – Rachel – qui ci è già stata anni fa, esattamente nel 2016 quando suonò su questo stesso palco con i Minor Victories, una super band composta oltre che da lei stessa da Stuart Leslie Braithwaite (Mogwai), Justin Lockey (Editors) e James Lockey. Il soundcheck è veloce e alla cinquantina di fan arrivati appositamente gli Slowdive regalano un mini-concerto di 4 brani. Cose che accadono solo all’Ypsigrock.

Ad ogni modo la serata sarà lunga e prima di loro ci sono altre cose da vedere. Partono i Traams,  (per me una tra le band rivelazione di questa edizione), tra krautrock e post-punk; spaziano tra le sonorità graffianti e ipnotiche alla Wire e la furia iconoclasta dei Gang of Four. Dilatati tanto quanto feroci, hanno saputo accendere l’entusiasmo di tutti, trasportandoci in un universo frastornante.

È la volta di Leila Moss; il suo è un synth pop rock abbellito prevalentemente dalle capacità canore dell’artista, nonché dalla sua presenza scenica; ma il tutto non convince a pieno, un po’ forse per la dirompenza dei precendenti Traams e un po’ perché ormai l’attesa per gli Slowdive è davvero tanta.

Si comincia a sentire nelle file in transenna un vociare ed un fervore pressante, i tecnici si apprestano a smontare e rimontare il palco, un breve check e si inizia.

Gli scroscianti applausi accompagnano l’ingresso degli Slowdive, ognuno prende il suo posto, Rachel entra per ultima, richiamata da un vero e proprio boato della platea. La dolce chitarra di Slomo ci accompagna per mano nel meraviglioso, delicato, romantico e soave mondo shoegaze degli Slowdive. Sotto il cielo stellato di Castelbuono in novanta minuti si disegnano immaginari magici e cosmi ultraterreni che passano per Avalin, Catch the breeze, ma è su Sleep e Sugar for the pills che la fusione tra pubblico e band è completa, si ode un’unica grande voce e, con mia sorpresa, tanti giovani ragazzi conoscono a memoria i testi, alcuni si commuovono e altri si abbracciano. Quello che gli Slowdive ci hanno regalato, non è stato solo un gran bello spettacolo, nessuno si sarebbe mai sognato di mettere in dubbio le enormi capacità di questi artisti. Ma l’atmosfera di amore e sinergia che sono stati in grado di comunicare è qualcosa che va al di là dell’essere musicisti bravi e navigati. È qualcosa che ha a che fare con la capacità di trasmettere attraverso quelle note un piccolo pezzo di ognuno di loro.

È il terzo giorno e la locandina parla chiaro: alle ore 18.30 al Chiostro di San Francesco si esibiranno i King Hannah. Il loro disco d’esordio è stato uno tra i miei ascolti più assidui del 2022. Avendo avuto la fortuna di averli visti già a Roma, conosco la loro performace e di cosa sono capaci e a maggior ragione vederli relegati fuori dal palco principale e di pomeriggio… mi sorprende negativamente. Intendiamoci, la location è strepitosa, ma a mio avviso dovevano meritare il palco principale, cosa che ovviamente non ci siamo fatti mancare di dire ad Hannah la sera stessa quando, casualmente l’abbiamo incontrata in piazza Castello.

La loro perfomance conferma la stessa impressione che avevo avuto a Roma. Bassi profondi, un blues-rock dalle tinte desertiche, una voce calda ed avvolgente il tutto condito da feedback incandescenti e ritmiche dilatate. Vorticosi e soavi, accompagnano noi spettatori verso l’imbrunire, certi di aver assistito ad una vera e propria consacrazione di una band che continuerà a far parlare di sé ancora a lungo.

La serata prosegue, in piazza Castello, con The Haunted Youth, un misto tra indie e dream-pop che mi ha molto ricordato, soprattutto nelle soluzioni chitarristiche, i DIIV, per poi lasciare il testimone agli Still Corners, una band (dream-pop in slsa elettronica). Siamo alle prese con una band che – a dispetto di dischi di buon livello – ha ancora molto da fare per la resa live, dimensione in cui non riescono a restituire il loro sound caratterizzante.

Ci pensano i successivi HVOB ad accendere il palco con la loro techno-dance e, a colpi di cassa dritta, l’atmosfera dell’intero pubblico si è in poco tramutata in un mega-rave, per la gioia degli accaniti ballerini che non vedevano l’ora di scatenarsi sudando all’impazzata.

Non fanno sconti neanche i successivi The Comet is Coming; il trio londinese miscela l’elettronica con il funk e con il jazz, creando soluzioni sì interessanti, per quanto ripetitive in alcuni momenti. Merita una menzione speciale il sassofonista Shabaka Hutchings per le sue immense doti.

Il quarto ed ultimo giorno si prospetta altresì intrigante.

Sul palco si alterneranno i Kiwi JR, i Just Mustard, gli acclamatissimi Panda Bear & Sonic Boom; mentre la chiusura della manifestazione viene affidata agli Young Fathers.

Se con i canadesi Kiwi Jr ci lasciamo trasportare in un rock &roll/garage intriso di nuance anni ’60, i successivi Just Mustard sono la seconda vera rivelazione di questa edizione. Il loro indie-rock/shoegaze arricchito di riverberi industrial devianti verso il noise, conquista l’intera pubblico già dalle prime note. La voce di Katie Ball, così simile nella timbrica e negli intenti a quella di Alison Shaw, si incastra perfettamente all’interno di queste ritmiche martellanti, restituendo una performance tanto impeccabile quanto coinvolgente ed intima. Una ricetta davvero ben riuscita che mette tutti d’accordo.

Panda Bear & Sonic Boom abbassano un pochino i toni, accompagnandoci in un viaggio psichedelico soffice e nostalgico che affonda le sue radici nei campionamenti di oscuri brani anni ’60.

In un’arena all’apice della festa, dove si intravedono ormai i visi stanchi di molte persone sazie ed appagate dalla tanta e bella musica ascoltata, il trio britannico Young Fathers dà il vero e proprio colpo di grazia. Con il loro alternative rap, particolarmente madido di black music, riescono a tirare fuori le ultime energie della folla, che scoppia cosi in una danza primordiale al ritmo di hip pop e soul.

Le luci si spengono, per l’ultima volta sul grande palco in piazza Castello, ma come dicono gli ypsini: “il futuro è già nostalgia”, e ci congediamo tutti, soddisfatti e con la voglia di sapere cosa ci riserverà il futuro Ypsig, perché una cosa è certa, di questa manifestazione non se ne può fare a meno.

 

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