Warsaw Pakt: recensione di The Kompromat

Da Los Angeles il post-punk audace e contaminato dei Warsaw Pakt. Il nuovo EP, The Kompromat, si snoda tra tumulti introspettivi e slanci da dancefloor.

Warsaw Pakt

The Kompromat

post-punk, darkwave, indie-goth

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Attualizzare il concetto di punk inserendolo nella odierna, vastissima scena post-punk e rimanere fedeli ad un sound personale e convincente è difficile ma non impossibile, a darne prova l’uscita di The Kompromat, il nuovo EP auto prodotto dei californiani Warsaw Pakt.

Il progetto nasce come esternazione solista del frontman Ivan Delint per diventare una band a tutti gli effetti con l’entrata in scena del chitarrista e produttore Skylar Francise insieme al batterista Edgar Franco, al chitarrista Steven Rivera (di Shrouds) e Luis Posadas al basso, coesi e possenti soprattutto dal vivo in poco tempo conquistano palchi importanti aprendo i live di band come ACTORS, Pink Turns Blue e Modern English.

Costantemente ai margini della scena goth di Los Angeles, i Warsaw Pakt assemblano magistralmente un suono affascinante e compatto costruito su ritmi dance-punk, storture melodiche, incursioni intimistiche e rifiniture gotiche tra umori darkwave e coldwave, protagonisti assoluti i riff di chitarra taglienti, le linee di basso corpose e la straordinaria urgenza vocale di Ivan, artista dotato di una voce intensa ed un modo personalissimo di usarla tanto da renderlo immediatamente riconoscibile.

Il titolo è alquanto pruriginoso, in russo компромат (abbreviazione di компрометирующий материал) significa infatti “materiale compromettente” ovvero quell’ampio ventaglio scabroso di foto manipolate, video sgranati di incontri con prostitute esteso poi anche ai crimini informatici, il riferimento è quindi rivolto a notizie infamanti o denigratorie, raccolte, conservate, acquistate, vendute o usate per fini strategici nei più svariati ambiti, da quello politico a quello giudiziario passando perfino per i mezzi di comunicazione di massa, tutto però riconducibile ad un unico aspetto, quello a sfondo sessuale.

Scritto al culmine della pandemia, nel momento cruciale della solitaria, confusa creatività, il disco include sette tracce, contando l’intro e Gavilan/Cubed (esclusiva per Bandcamp), contaminatissime e trasversali dove convivono caratteri difformi ma ugualmente efficaci.

Così l’intro nervoso e riverberato sfocia nella title track come ne fosse naturale prosecuzione aprendo un cerchio concentrico di sensazioni sanguigne rotte da clamorosi stop and go e una dissolvenza in uscita (di quelle ben fatte) con tanto di mormorio finale mentre la tetra scarnificazione di Gavilan/Cubed stende un sudario di inquietudine profonda addolcita solo in parte dai suggestivi arpeggi di chitarra.

Si affonda poi nel lago melmoso di cupa darkwave racchiuso nella maliarda Sossusvlei che implode in un turbine di cori estranianti per riemergere nella più ariosa Still dominata da un ritmo impetuoso à la Idles.

Ma il paragrafo davvero imprescindibile riguarda Black September, alzo il volume delle cuffie e mi immergo nelle sabbie mobili di questo brano che trasuda sofferenza da ogni nota, macilenta, gotica, oscura, nervosa resa perfetta dalla voce melodrammatica e quantomai evocativa di un Ivan immenso.

Se fossi un produttore discografico vorrei fortemente i Warsaw Pakt nella mia scuderia, sarebbe bello tirar fuori e valorizzare al massimo tutto il loro potenziale, sarebbe splendido vederli correre come meritano, da cavalli di razza.

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