The Sea At Midnight: recensione di We Share The Same Stars

I dolori del giovane Grant nel nuovo album firmato The Sea At Midnight. We Share The Same Stars veleggia tra ballad oscure e irresistibili richiami eighties.

The Sea At Midnight

We Share The Same Stars

Icebreaker Records/PML Recordings/Piazza Media GmbH

post-punk, darkwave, coldwave

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Dopo una serie di singoli convincenti e lo splendido Oceans (EP del 2022), The Sea At Midnight (aka Vince Grant) torna alla ribalta con We Share The Same Stars, versione remixata del debut album omonimo (2020) che vanta la collaborazione di Chris King alla produzione e missaggio e Brandon Pierce alla batteria.

Vince, da sempre ispirato al sound di band come Joy Division, New Order, The Cure e Psychedelic Furs, a 23 anni acquista la sua prima chitarra e da allora non se ne separa più, diventa una sorta di compagna di viaggio mentre fa la spola tra New York e Los Angeles scontrandosi con problemi legati all’alcolismo, alla tossicodipendenza e alla depressione latente.

Un uomo e i suoi tormenti, un uomo alla ricerca della salvezza, un uomo che non nasconde le sue fragilità ma anzi le analizza inseguendo il sogno di sconfiggerle, per questo le dilania sviscerandole attraverso liriche dense, profonde e terribilmente inquiete.

Oscar Wilde diceva “dalla terra veniamo e a lei torneremo, immersi nel fango dei problemi della vita, ma solo alcuni guardano le stelle”, Grant sembra pensarla esattamente allo stesso modo, così paradossalmente immerso nelle sue acque torbide con lo sguardo fisso verso il cielo stellato, senza compromessi e con grande coraggio, mostra candido la sua anima, martoriata e afflitta, presa a pugni dai dolori e dagli inganni del passato ma, a dispetto del mondo, ancora aperta alla speranza.

Emozioni e brividi nelle otto tracce incluse, costruite su armoniose melodie dove vola altissima la sua voce calda e rassicurante, a chiudere il cerchio l’infinita poesia dei testi ed un sound di chiara ispirazione eighties contaminato da incursioni dark-pop blues e darkwave.

 

Quelle di We Share The Same Stars sono molto più di semplici canzoni, scorrendo la tracklist è facile mettersi nei panni del musicista mentre ripercorre i momenti più difficili della sua esistenza, in maniera quasi automatica le sue angosce diventano le nostre, la sua imminente percezione di crollo fisico e mentale mette a dura prova ma al di là di tutto quella flebile luce in fondo al tunnel prende il sopravvento lasciando vivo solo il pensiero della redenzione, del riscatto.

Con la stessa arrendevolezza, ci si perde nei cupi labirinti malinconici di Medicine, nelle note avvolgenti e rotonde di Edge Of The World, nell’estasi nostalgica di Melancholia dominata da un basso possente (i Joy Division più solari), nella più nervosa Afterglow (i New Order più oscuri) e nella accattivante title track dove in un magico crocicchio la new wave degli Echo And The Bunnymen incontra il dreampop psichedelico dei Mazzy Star per fondersi con l’intenzione vocale di Borland.

Ma la mia preferita (e al quinto ascolto in cuffia posso confermarlo con certezza), rimane Sweet Addiction, toccante ballad dove un Grant da manuale canta quella dolce, funesta dipendenza che cede il passo all’autodeterminazione.

We Share The Same Stars è un disco pieno di rabbia, sconforto, impotenza, disagio ma Vince Grant ha un dono immenso, quello di convertire in assoluta bellezza lo squallore quotidiano, trovatemi voi (se ne siete capaci), un motivo migliore per ascoltare la sua musica, la sua storia, la sua verità.

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