The New Arctic: recensione di Vault

Arriva dalla California l'avvolgente darkwave targata The New Arctic. Vault è l'incantevole debut album solista di Eleanor X. 

The New Arctic

Vault 

(Swiss Dark Nights)

darkwave

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Si intitola Vault l’introspettivo e affascinante esordio del progetto The New Arctic, creatura dell’artista californiana Eleanor X, prodotto e mixato da Pedro Code (Iamtheshadow/The Ending Nights) e appena uscito per l’etichetta svizzera Swiss Dark Nights.

The New Arctic è la perfetta trasposizione di un mondo glaciale e indifferente che poco alla volta perde consistenza e comincia a liquefarsi lasciando spazio a nuovi orizzonti. 

Il sound, dominato dall’opulenza dei synth che legano insieme il basso analogico e la chitarra di Eleanor X, la batteria programmata magistralmente da Pedro Code e gli splendidi arpeggi di Robert Pelikan (deAnima, Garnet Fields), è un impeccabile mix di darkwave/cold wave tramite il quale l’artista racconta i sentimenti forti e contrastanti che hanno governato gli ultimi anni della sua vita riuscendo poi ad estendere lo stesso concetto a livello universale.  

La sua voce, a tratti onirica, altre remota, è la guida spirituale dell’intero album che scava attraverso i luoghi più profondi dell’animo toccando di volta in volta i temi dolorosi della morte, del rifiuto, del potere oscuro operato dal subconscio, degli innumerevoli retaggi culturali ed ancestrali di cui siamo tutti vittime e schiavi, del disprezzo e rifiuto di noi stessi fino ad arrivare, con enorme fatica, ad una lontana ma percepibile via d’uscita.  

Si entra nel Vault con Veils, brano tondo e straordinariamente orecchiabile, un magnete dal ritmo corposo per certi versi accomunabile alla elegante sensualità di Essence, alla tensione emotiva di Drifted Away e all’inquietudine pressante di The Obsessed.

 

La vocalità di Eleanor sorprende sopratutto nelle tracce più storte, è il caso di Narcissus dove il cantato sfiora i limiti della distorsione o Silence So Cold assai vicina alle tempeste ormonali à- la Boy Harsher. 

Davvero splendido il sogno oscuro di Paradise Lost, avvolto in un alone serafico quasi ultra terreno ma è Out Of The Vault, ultimo paragrafo del full-lenght, a farmi perdere la testa, l’andatura incestuosa di quella voce è pura libidine orgiastica immersa com’è in un mood ossessivo e malato, il rintocco delle campane che segna l’uscita di scena lascia presagire un domani di nuovo festoso, domani, forse, il dolore sarà solo una parola sterile senza più alcun significato.

Il sole della California e i suoi rigurgiti esistenziali, la presa di coscienza e la volontà di scegliere un cammino diverso da quello intrapreso finora, la metabolizzazione dei tormenti e delle sconfitte come viatico per raggiungere la pace interiore, questo è Vault.

Un disco che non lascia scampo perché ti costringe ad un ascolto attento che va ben oltre la forma canzone, questo archivio storico di emozioni violente legate ad un passato irto di spine è il perfetto breviario per una rinascita assoluta e incondizionata. 

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