The Strokes: Angles

Gli Strokes virano verso sonorità new wave, pur mantenendo il loro sound. Un graditissimo ritorno con questo Angles. Da non perdere

The Strokes

Angles

(Cd, RCA)

garage rock, wave

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recensione-the-strokes-anglesAd un anno di distanza dall’esordio solista di Julian Casablancas che tanto ha entusiasmato le Julianettes (fans di Julian nda) e le ha parzialmente colmate dall’assenza degli Strokes datata ormai dal 2006, arriva il nuovo album degli Strokes.

In questo Angles, successore di First Impressions Of Earth, si trova il solito ingrediente del gruppo newyorkese, una buona dose di garage rock revival ruffiano, ma ci sono interessanti incursioni in territorio new wave, che oggigiorno va tanto di moda.

Apre le danze Machu Picchu, insolita commistione fra il sound degli Strokes e un electro-pop anni ’80 che sa molto di Duran Duran. Molto particolare al primo ascolto, quasi irresistibile al quinto, con un riff di chitarra che rimbalza nel mio cervello da ormai un paio d’ore.

A seguire il primo singolo estratto Under Cover Of Darkness: puro sound Strokes degli esordi, orecchiabile all’ennesima potenza, eccellente.

Con Two Kind Of Darkness invece ci spostiamo in un territorio vagamente new wave; atmosfere più cupe che rimembrano i brani più commerciali degli Echo And The Bunnymen.

You’re So Right, è invece fortemente new wave. Nel primo attacco sembra quasi di sentire arrivare Ian Curtis da un momento all’altro. Cantato cupo di Casablancas e Moretti, in versione Joy Division.

Si ritorna invece alle sonorità del secondo album Room On Fire con la successiva Taken For A Fool, un altro brano candidato a hit.

Un po’ sottotono Games, più vicina alle sonorità di Phrazes For The Young piuttosto che a quelle degli Strokes.

Deliziosa Call Me Back, dolce Strokes-ballad molto soft che farà sicuramente impazzire le fans nei live.

Più carica Gratisfaction, con diversi inserti di blues rock anni ’70 che lascia in fretta spazio a Metabolism, un brano fortemente teatrale che ricorda ritmicamente i Mars Volta.

Chiude Life Is Simple In The Moonlight, brano soft che riporta vagamente atmosfere electro-acustiche come quelle di Friendly Fires e derivati.

Un album in definitiva non sensazionale ma che acquisisce punti ad ogni ulteriore ascolto. E’ molto interessante infatti il tentativo di cambiare sonorità pur mantenendo i propri tratti distintivi. Il cantato di Julian Casablancas poi è come al solito caratteristico e attraente come una calamita.

Da non perdere assolutamente in dimensione live dove è risaputo regalino molto al pubblico; purtroppo al momento nessuna data è prevista in Italia.

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Fabio Busi
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