Spiral69: Ghosts in My Eyes

Con la produzione artistica du Steven Hewitt dei Placebo, gli Spiral69 fanno rivivere i fasti della new wave, sposando anche sonorità alla NIN. La band è italiana, il sound internazionale, il risultato degno di nota

Spiral69

Ghosts in My Eyes

(CD, Helikonia)

wave, post-wave

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A due anni da No Paint on the Wall tornano gli Spiral69 con Ghosts in My Eyes, album incentrato maggiormente sull’elettronica e sonorità profonde della new-wave più tradizionale.

La cura dei suoni è magistrale, la produzione artistica firmata da Steven Hewitt (batterista dei Placebo) e Paul Corkett (sound engineer per The Cure, Nick Cave, Bjork, Radiohead, Placebo) si nota in ogni dettaglio, dalla definizione armonica degli arrangiamenti alla capacità di dosare bene la compressione rendendo il suono perfetto e fedele alla tradizione british.

Si parte nel freddo di Waves, dilatata e suggestiva dimostrazione di un parco synth che porta ad un’apertura di chitarre e batteria perfettamente in sincronia con le frequenze basse del brano.

La voce tagliente riprende le note dell’organo elettrico che spinge verso una nuova dimensione, quella di New Life dove il freddo diventa bufera, dove ti lasci andare al groove persistente come una meteora che cade in frantumi fino a sparire. Sensazione astrale.

No Heart è una parata di stelle, una barriera corallina, un universo non più abisso. Il brano perfetto per chi ama quelle sonorità folk introdotte con raffinato metodo nel buio della new-wave.

Dirty dimostra invece un eccessivo uso dell’elettronica che porta gli Spiral69 ad avvicinarsi ad una delle ricorrenze più importanti del genere: i Nine Inch Nails.

Il brano di chiusura è Ghosts in My Eye interpretata in maniera impeccabile dalla voce di Riccardo Sabetti con un sottofondo strisciante di violini e il pianoforte ad indicare la strada giusta ai passeggeri più malinconici che la notte rincorrono fino a tarda ora il sonno.

Un album che è la conferma della maturità artistica di una delle band italiane più qualificate nel genere.

Unico appunto che nasce da una mia personale impressione: sento una leggera mancanza di un punto di congiunzione tra la parte strumentale e quella vocale, che potrebbe risolversi con l’ausilio di una seconda voce con tonalità più alte e delay lungo.

 

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Gianni Manariti
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