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Lapingra: The Spectaculis

Estrosi, imprevedibili, coraggiosi, i Lapingra danno alle stampe il loro secondo album, The Spectaculis, concepito come un concept. Ascoltatelo senza pregiudizi e vi stupirà

Lapingra

The Spectaculis

(Aoisland Productions)

pop


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recensione-lapingra-the-spectaculisCi sono due modi per affrontare l’ascolto del secondo album dei Lapingra, collettivo musicale romano che ha impiegato due anni, venti musicisti, un crowfunding e riferimenti al poeta latino Marziale prima di sfornare questo The Spectaculis.

Il primo modo è assecondare le note che accompagnano il disco e considerarlo come un concept album di 12 tracce, ispirato (vagamente, in qualche maniera) al Liber De Spectaculis di Marziale e che racconta la storia d’amore tra una ragazza peruviana, finita chissà come (ché il Perù affaccia su Pacifico) nella Roma del I secolo d.C., ed un gladiatore.

Seguendo questa strada ci si trova persi in un labirinto di lingue, suoni, racconti difficili da seguire, collegamenti che rendono la storia sottesa al disco di non semplice fruizione. Capire un briciolo di trama scavando tra i brani è stata un’ardua impresa. Tuttavia le stanze sonore, le scene, i drastici ed improvvisi cambi di atmosfera, ritmo e registro all’interno degli stessi brani, rendono l’esperienza sempre diversa e mai noiosa.

Ma il secondo modo di approcciarsi a questo The Spectaculis, e che a mio modestissimo parere rende più giustizia al lavoro nella sua interezza ed ai musicisti che lo hanno realizzato, è quello di ascoltarlo come un disco qualunque, fatto semplicemente di canzoni. Lasciando da parte tutte le preoccupazioni di capire per forza che cosa stia accadendo all’interno della storia raccontata e delle sue derive fanta-storiche, ci si trova nelle orecchie un disco complesso, scritto con maestria e gusto. Le performance dei musicisti e dei vocalist, la scrittura multilinguistica, le atmosfere sonore che attraversano 200 anni di musica, dai canti gregoriani fino all’elettronica odierna, passando per tutto (proprio tutto) quello che c’è stato in mezzo.

Troverete i riferimenti  più disparati: Santana accanto ai NoDoubt, poi subito dopo Nora Jones ed i Queen, il pop anni ’80 e la patchanka. Ad ogni ascolto salterà fuori dal cilindro dei romani qualcosa di nuovo a cui non avevate fatto caso fino a quel momento. I Lapingra realizzano un album stratificato che è impossibile inquadrare in un genere definito senza utilizzare il più generico termine possibile: pop.

Il loro è quel genere di pop che non pone limiti alle contaminazioni ed agli azzardi. Nonostante il taglio quasi da opera teatrale che questo disco inevitabilmente si appiccica addosso, seppur risultando a tratti al limite del dispersivo, scorre fresco e leggero sfiorando argini musicali variegati ed imprevedibili.

Taluni la chiamerebbero opera rock utilizzando un termine caro al progressive (di cui i Lapingra di certo si sono nutriti fino a ritrovarsi satolli), io vi suggerisco di prenderlo per quello che è: un buon disco di canzoni pop, scritte da una penna coraggiosa piena zeppa di estro e talento, che galoppa senza briglie sulla strada che separa le Americhe dal Colosseo.

 

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Antonio Serra
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