Korn: The Nothing

The Nothing è l'inno al dolore dei Korn: tra i pochi sopravvissuti a se stessi e al declino di un genere, nell'eterna lotta contro la depressione, la sofferenza, l'ansia, gli abissi della psiche e gli abusi del passato.

Korn

The Nothing

(Roadrunner Records/ Elektra)

alternative metal, nu-metal, groove metal

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recensione korn the nothingCosa sarebbe l’arte senza la sofferenza? Per Frida Kahlo, dipingere era un modo per trasformare il dolore in espressione artistica purificatrice e terapeutica. Deve essere stato lo stesso per Jonathan Davis, cantante, paroliere e cofondatore dei Korn, sulla scia della tragica morte della sua ex moglie e poco prima di sua madre, luttuosa circostanza che il frontman della band di Bakersfield è riuscito a convertire nella sua arte.

Del resto, Jonathan Davis ha sempre considerato la musica come una liberazione, come un’esperienza per dimenticare i brutti pensieri e per trasportarsi in un altro mondo.

I Korn, a dispetto di tutte quelle credenze popolari dettate dalla paura e dalla superstizione, hanno pubblicato il loro tredicesimo album, The Nothing, proprio di venerdì 13.

Nel 2019 abbiamo assistito, finora, alla celebrazione del numero 13: il ritorno dei Tool a 13 anni di distanza dall’ultima release, la storica reunion dei Bauhaus dopo 13 anni dall’ultimo concerto insieme e l’uscita del 13° disco dei Korn, composto, nemmeno a dirlo, da 13 canzoni.

I Novanta offrirono al pubblico l’insoddisfazione dell’industrial rock e un’ondata di gruppi ossessionati dall’hip-hop, che fondevano un suono funk e/o metal, con disperati vocali in stile rap. Queste band spuntarono ovunque, ma tra i pionieri di questo nuovo sottogenere, che prese il nome di nu metal, troviamo, senza dubbio, i Korn.

Oggi, quel sound ibrido, unito alle atmosfere dilatate e plumbee dell’elettronica, sembra tornato in auge, in maniera diretta e trasversale.

Mi chiedo, cosa ne sarebbe della musica dei Korn se non ci fosse stata la fondamentale influenza dei Depeche Mode, di Trent Reznor, dei Sepultura e dei Fear Factory?

“Il nu-metal è l’ultimo grande movimento nel mondo della musica ed è nato grazie a noi”, queste le parole di Davis in una recente intervista. Probabilmente ha ragione, a prescindere dal gusto personale e senza sindacare sul termine movimento.

I Korn, durante la loro longeva carriera, hanno mescolato cinque elementi della musica moderna: le sonorità cupe del metal, il ritmo dell’hip hop (sebbene, personalmente, non abbia mai notato alcun influsso del rap nelle composizioni dei Korn), le urla del thrash/hardcore, le ambientazioni gotiche dei sintetizzatori e l’imprescindibile ricercatezza del look.

Il tutto, però, senza il virtuosismo del rock degli anni ’80: gli assoli non erano assolutamente contemplati e l’heavy metal era, ed è tuttora, solo un mezzo per amplificare il messaggio di rabbia e tristezza.

Cos’è il Nulla (The Nothing) di cui ci parlano i Korn nel nuovo album?

Il Nulla è un concetto filosofico che ha creato profonde argomentazioni sin dall’antica Grecia: il Nulla, come assenza di essere, come non esistenza, come condizione di coscienza e percezione spirituale dell’essere umano nei confronti del mondo, che sfugge da ogni logica di spazio e tempo.

Essere o Non Essere… questo è il famoso interrogativo esistenziale con cui l’Amleto di William Shakespeare apriva il suo soliloquio.

Presumibilmente è lo stesso enigma esistenziale che accompagna da sempre l’inquieto e tormentato Jonathan Davis.

Il suono lancinante e solitario di una cornamusa apre The Nothing nella traccia ossimoro The End Begins, mentre le alienanti sonorità industrial di You’ll never find me ed il groove aggressivo di Cold ci guidano all’interno degli abissi bipolari di Idiosyncrasy, dove Jonathan Davis alterna parti seducenti e growl brutali.

Ci vuole tanta pazienza per assimilare e metabolizzare i ritmi psych-jungle di H@rd3r, i riff apocalittici di This Loss e gli attacchi corposi e robusti di Gravity of Discomfort.

Ma alla fine del tunnel ci attende il metal sinfonico di Can you hear me: una ballad cupa che ricorda le oscure spirali nineties dei Depeche Mode e del suo leader Dave Gahan.

Cosa ci rimane dopo le urla, l’agonia, la fragilità e le pause riflessive di The Nothing? Cosa, o chi, è sopravvissuto al fallimento (Surrender to failure)?

Sicuramente questo inno al dolore dei Korn: tra i pochi sopravvissuti a se stessi e al declino di un genere, nell’eterna lotta contro la depressione, la sofferenza, l’ansia, gli abissi della psiche e gli abusi del passato.

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